venerdì, Novembre 22, 2024

Indro Montanelli, il principe del giornalismo

La sua lezione di coerenza e integrità rimane un’eccezione nel panorama italiano

“ I nostri uomini politici non fanno che chiederci a ogni scadenza di legislatura un atto di fiducia. Ma qui la fiducia non basta: ci vuole l’atto di fede”. “Non ho paura della morte, ma di morire”.

di Alessandro Ceccarelli

E’ ricordato come il “principe” del giornalismo italiano, uno dei più amati e più letti in tanti decenni di storie, tragedie e polemiche del nostro Paese.

Indro Montanelli, scomparso 13 anni fa, rimane un’eccezione per rigore intellettuale, per moralità e coerenza. Pochi altri nella storia del giornalismo italiano (Malaparte, Bocca, Biagi e la Fallaci) hanno dato un apporto così decisivo alla cultura italiana del XX Secolo. Ha lavorato per il Corriere della sera; nel 1974 ha fondato “Il Giornale” e nel 1994 creò “La Voce”. Nel 1996 tornò a lavorare per il suo amatissimo “Corriere” sino alla sua morte avvenuta il 22 luglio 2001. Nel corso della sua lunga carriera ha sempre puntato all’indipendenza del pensiero, ribadendo con forza la distanza “obbligatoria” tra la sua professione e la politica. Rifiutò la poltrona di senatore a vita avanzata dal presidente della Repubblica Cossiga. Politicamente si è sempre definito come un conservatore illuminato.
Indro Montanelli nasce a Fucecchio, in provincia di Firenze, il 22 aprile del 1909. Il padre era un austero preside di liceo, la madre era proprietaria di immobili nel paese. Il giovane Indro frequenta prima il liceo classico a Rieti e consegue la prima laurea in Giurisprudenza nel 1930 a Firenze.
Due anni dopo ottenne la seconda laurea in Scienze politiche sempre nel capoluogo fiorentino. In quel periodo si avvicina al mondo del giornalismo scrivendo i suoi primi articoli per “Frontespizio”, “L’Italiano” di Longanesi e “Il Selvaggio” di Maccari. Nel 1934 si trasferisce a Parigi e collabora con il quotidiano “Paris-Soir”. Scrive articoli di cronaca nera. Dal giornale francese è inviato come corrispondente in Canada. Nel paese Nordamericano il suo lavoro è notato dal giornalista statunitense Webb Miller che suggerì l’assunzione del giovane Montanelli alla United Press. Il suo primo scoop fu l’intervista a Henry Ford, il re delle automobili.
Nel 1935 l’Italia di Mussolini invade l’Etiopia e il giovane giornalista si arruola come ufficiale volontario. Nel 1936 Montanelli, come giornalista, seguì le drammatiche fasi della guerra civile spagnola. Gli articoli, critici sull’impegno italiano a favore di Franco, scatenarono le ire di Benito Mussolini che lo fece radiare dall’Albo dei giornalisti. Grazie all’intervento di Giuseppe Bottai, il giornalista tornò a lavorare nel 1938 quando fu assunto dal Corriere della sera di Aldo Borrelli. Lavorando per il giornale italiano più importante e prestigioso, la carriera di Montanelli decollò. Nel corso della Seconda guerra mondiale divenne il principale inviato del conflitto insieme a Curzio Malaparte. Il 5 febbraio del 1944 fu arrestato dalle truppe naziste. Accusato di aver criticato la Repubblica di Salò nei suoi articoli, Montanelli fu condannato a morte. Nel mese di luglio riuscì a fuggire dal carcere milanese di San Vittore.

Negli anni ’50 Montanelli ricoprì il ruolo di principale inviato del Corriere della sera. Fece moltissime inchieste sul costume italiano e una serie di interviste ai principali uomini politici del tempo. In seguito queste interviste divennero “Ritratti”, un volume di grande successo del giornalista. Nel 1956 Montanelli è inviato a Budapest durante le drammatiche fasi dell’invasione russa in Ungheria. Da questa tragica esperienza il giornalista scrisse “I sogni muoiono all’alba” (1960), un’opera teatrale molto apprezzata. Dall’inizio degli anni ‘60, Montanelli, con l’aiuto di Mario Cervi e il giovane Roberto Gervaso, da il via alla stesura della monumentale “Storia d’Italia”. L’opera riscuote un enorme successo diventando uno dei testi di divulgazione storica più diffusi nel Paese.

Con l’arrivo della contestazione del movimento studentesco, Montanelli ribadì la sua posizione fortemente critica, essendo lui un fiero e convito conservatore. Purtroppo per lui, l’Italia in quel periodo si stava progressivamente spostando a sinistra. E tale fenomeno riguardò anche il suo amatissimo Corriere della sera. Nel 1972 Giovanni Spadolini è licenziato in tronco dalla direzione di via Solferino. Al suo posto, l’editore Giulia Maria Crespi chiamò Piero Ottone che agli occhi di Montanelli era “troppo di sinistra”.
Nei due anni successivi il rapporto tra Montanelli e il Corriere si fece sempre più problematico sino a quando, all’inizio del 1974, il celebre giornalista venne allontanato. Per Montanelli, che aveva all’epoca 65 anni, fu un vero e proprio choc: lavorava al Corriere dal 1938. Il giornalista non si diede per vinto e con un gruppo di cronisti che avevano lasciato il Corriere con lui, fondò un nuovo quotidiano, “Il Giornale”. Il primo numero uscì il 25 giugno del 1974. L’operazione editoriale nel tempo si confermò come un successo. Nei primi anni il quotidiano aveva rubato copie al Corriere. Erano molte le firme prestigiose (Bettiza, Corradi, Piovene) che arricchirono il livello culturale della creatura di Montanelli.

Negli anni del terrorismo, il giornalista divenne uno dei principali obiettivi delle Brigate rosse. Il 2 giugno del 1977 un commando di brigatisti sparò alle gambe di Indro Montanelli. Il barbaro e vile attentato fece molto clamore in un Paese insanguinato e dilaniato dal terrorismo. Nel 1977 la Montedison cessò il finanziamento al Giornale di Montanelli.

Le casse del quotidiano erano pericolosamente in rosso e il giornalista cominciò una frenetica ricerca di possibili finanziatori. Decisivo fu l’incontro con l’astro nascente dell’imprenditoria italiana: Silvio Berlusconi. Quest’ultimo, interessato ad entrare nel mondo dell’editoria, promise di lasciare mano libera al direttore. E per molti anni mantenne la parola. Per tutti gli anni ’80 il quotidiano di Montanelli stabilizzò positivamente le vendite. Ormai era ben radicato tra i lettori moderati della Lombardia. Con lo scoppio di “mani pulite” le cose cambiarono rapidamente. Tra il 1992 e il 1993, sotto i micidiali colpi della magistratura, i principali partiti italiani furono spazzati via. Il grande “protettore” politico di Berlusconi, Bettino Craxi, per evitare il carcere, fuggì in Tunisia. Berlusconi con una decisione improvvisa decise di entrare in politica per difendere i suoi interessi. Iniziarono immediatamente le tensioni con il direttore del Giornale. Nel gennaio 1994 Berlusconi presentò il suo nuovo partito, Forza Italia che partecipò e vinse clamorosamente le elezioni politiche due mesi dopo. Berlusconi disse apertamente a Montanelli che il quotidiano doveva “appoggiare” il suo partito e il suo governo. La risposta dell’ormai anziano direttore fu un secco e deciso “no”. All’inizio del 1994 Montanelli annunciò il suo abbandono dal Giornale, dopo ben venti anni di direzione. Al suo posto Berlusconi chiamò Vittorio Feltri.

Montanelli stupì il mondo dell’editoria con la nascita di un nuovo quotidiano, “La Voce”, il cui primo numerò uscì il 22 marzo del 1994. Giornalisti di talento come Marco Travaglio, Peter Gomez e Beppe Severgnini, seguirono la nuova iniziativa di Montanelli. Purtroppo per il direttore, la “creatura” non ebbe lunga vita. Un anno dopo, il 12 aprile del 1995, “La Voce” chiusi i battenti. Montanelli, invitato dal direttore Paolo Mieli, tornò al suo antico amore, quel Corriere della sera che gli aveva dato tante soddisfazioni e qualche delusione. Curò la celebre rubrica “La stanza di Montanelli”, sino alla sua morte avvenuta il 22 luglio del 2001.

Redazione
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