venerdì, Novembre 22, 2024

Marilyn Monroe, simbolo della femminilità

“Le persone dolci non sono ingenue né stupide, né tanto meno indifese. Anzi, sono così forti da potersi permettere di non indossare nessuna maschera. Libere di essere vulnerabili, di provare emozioni, di correre il rischio di essere felici”

(Marilyn Monroe)

di Alessandro Ceccarelli

La sua figura fragile, meravigliosa e tragica rimane il simbolo della femminilità di ogni tempo. Nessuna donna ha avuto un’influenza così forte nella moda, nel costume e nella seduzione come Marylin Monroe, nonostante sia morta da oltre mezzo secolo. La sua prematura scomparsa a soli 38 anni, in circostanze non del tutto chiare, l’ha consegnata per l’eternità nel mondo della celluloide. Eppure le sue indiscutibili doti recitative vengono sempre menzionate dopo il suo aspetto fisico e il suo incredibile fascino. Il mito prevale su ogni aspetto della sua vita travagliata, triste e caratterizzata da una profonda infelicità.

L’infanzia difficile

Norma Jeane Mortenson nasce 1º giugno del 1926 al County Hospital di Los Angeles; la madre, Gladys Pearl Monroe (1902-1984), che lavorava alla Consolidated Film Industries ed era riuscita a ricoverarsi solo grazie a una colletta, era figlia di Otis Elmer Monroe e Della Hogane e si sposò una prima volta con John Newton Baker, dal quale ebbe due figli, Robert Jasper “Jackie” Baker e Berniece Inez Gladys Baker. Dopo il divorzio con Baker, divenne suo marito Martin Edward Mortenson, un fornaio norvegese, ma i due si separarono prima che Gladys rimanesse nuovamente incinta. L’identità del padre di Marilyn Monroe non è mai stata chiarita definitivamente; i biografi concordano che Mortenson, sebbene fosse indicato come tale nel certificato di nascita di Norma Jeane, non fosse in realtà il suo vero padre. Sembra più probabile che fosse Charles Stanley Gifford, un impiegato alle vendite della Consolidated Film Industries, che avrebbe lasciato Gladys non appena lei lo informò della sua gravidanza; si ipotizzò anche che la madre fosse rimasta incinta dopo uno stupro. Alcuni mesi dopo il parto, la bambina venne battezzata come “Norma Jeane Baker”.

Gladys era mentalmente instabile e finanziariamente non era in grado di prendersi cura della figlia; non riuscendo a persuadere la madre Della a occuparsi della bambina, decise di affidare Norma Jeane a Wayne e Ida Bolender, una coppia molto religiosa di Hawthorne, una località a sud-ovest di Los Angeles, che si occupava di bambini in affido in cambio di denaro, con cui Norma Jeane visse fino all’età di sette anni. Nella sua autobiografia, My Story, scritta con Ben Hecht, Marilyn disse che era convinta che loro fossero i suoi genitori finché Ida non la corresse in malo modo, affermando che non doveva chiamarla madre e che avrebbe incontrato quella vera il giorno dopo; dopo la morte di Monroe, Ida disse che rimasero sempre in contatto e che aveva avuto la seria intenzione di adottarla, cosa che non poté fare per il mancato consenso di Gladys. Norma venne poi affidata a una coppia di inglesi, prima di tornare ad abitare con Gladys in una piccola casa bianca, insieme alla coppia britannica. Dopo pochi mesi, in seguito a una caduta dalle scale, sua madre, che soffriva di un esaurimento nervoso a causa dei numerosi problemi familiari, venne prima ricoverata al Los Angeles General Hospital e poi portata al Norwalk State Asylum, dove le venne diagnosticata schizofrenia paranoide.

Dopo che la madre venne dichiarata incapace di intendere e di volere, Norma Jeane fu presa in custodia dalle autorità statali; la migliore amica di Gladys, Grace McKee, archivista di pellicole alla Columbia Pictures, divenne la sua tutrice, nonostante i pareri contrari dei suoi amici; con Grace cominciò ad appassionarsi al cinema e alla vita hollywoodiana. Dopo il matrimonio della donna con Ervin Silliman Goddard il 4 aprile 1935, Norma Jeane fu mandata all’orfanotrofio Children’s Home Society di Los Angeles, dove rimase dal 13 settembre 1935 al 1938; qui lavorò per la prima volta come vivandiera con uno stipendio di 5 centesimi al mese. Durante la permanenza nell’istituto, venne affidata a diverse famiglie, dove subì violenze e disattenzioni, e ogni volta ritornava all’orfanotrofio, venendo accusata di commettere furti; in alcuni casi, lei stessa affermava di maltrattare alcune bambine. Ricorda anche un episodio di molestie sessuali subite da un certo signor Kirmel all’epoca in cui aveva circa nove anni. Nel 1938, per quattro mesi, ritornò da Grace; la ragazzina affermava di essere molestata da Ervin, confessione di cui le fonti dubitano, venendo poi affidata prima a Olive Brunings, una prozia che viveva a Compton, e poi, nei primi mesi del 1938, ad Ana Lower, un’altra zia residente a Van Nuys.

La carriera

La giovane, per affinare le sue doti recitative, studiò all’Actors Lab di Hollywood e recitò al Bliss-Hayden Miniature Theatre di Beverly Hills. Nel 1947, prese parte al suo primo film, “The Shocking Miss Pilgrim” di George Seaton, con il ruolo, non accreditato, di una centralinista; per questo motivo l’attrice non compare nella pellicola, mentre si ode la sua voce. Recitò poi in “Scudda Hoo! Scudda Hay!”, con la regia di Arthur Pierson, che per alcuni problemi uscì nelle sale solo dopo alcuni mesi; la sua parte fu quasi completamente tagliata durante il montaggio, rimanendo alla fine un’unica scena dove lei saluta la protagonista della pellicola, June Haver. Dopo aver fatto la comparsa ne “I verdi pascoli del Wyoming” (“Green Grass of Wyoming”) di Louis King e in “You Were Meant for Me” di Lloyd Bacon, senza venire accreditata in entrambi i film, Marilyn Monroe prese parte a “Dangerous Years” di Frederick Hugh Herbert, uscito nel 1948, dove il nome della diva appariva come quattordicesimo nei crediti. Lo stesso anno vinse il concorso di bellezza “Miss California Artichoke” Queen.

La svolta della sua carriera avviene grazie al grande regista John Huston, che la chiama per “Giungla d’asfalto”. Il film la trasforma in una star di prima grandezza. Gli anni cinquanta sono il decennio in cui l’attrice costruisce la sua figura di attrice brillante, sbarazzina e apparentemente ingenua. Il fascino che emana il suo sguardo è irresistibile e innovativo. Gli altri film significativi per la star sono “Quando la moglie è in vacanza”, “Niagara”, “Come sposare un milionario”, “Fermata d’autobus” e “Il principe e la ballerina” in cui la Monroe recita al fianco del leggendario Laurence Olivier.

Il film più importante del periodo d’oro dell’attrice è senza dubbio “A qualcuno piace caldo”, pellicola che chiude il decennio dell’affermazione del suo mito. Marylin, affiancata da due straordinari attori con Jack Lemmon e Tony Curtis, può finalmente dimostrare le sue indubbie qualità recitative e interpretative. La sua vita privata è un continuo susseguirsi di amori, sofferenze, delusioni, solitudine, alcool e soprattutto psicofarmaci. L’ultimo matrimonio, quello con il grande drammaturgo Arthur Miller, da molti visto come la “salvezza” per l’inquieta artista, è in realtà l’ennesimo errore della sua vita sentimentale. L’intellettuale non riuscirà mai a capire i problemi dell’attrice e non la renderà mai felice. Gli anni Sessanta sono tragici per l’attrice che all’epoca era la star di Hollywood più famosa e amata nel mondo.

Gli ultimi film

La dipendenza da alcool e da psicofarmaci della Monroe cominciò a minare la sua salute. Il 7 febbraio 1961, Marilyn, sempre più spesso preda di turbe psichiche, si recò volontariamente sotto il falso nome di Faye Miller al Payne Whitney Psychiatric Clinic, l’ospedale psichiatrico di New York; quando la permanenza nella casa di cura divenne per l’attrice una sorta di detenzione, l’ex marito Joe Di Maggio riuscì a farla uscire e a trasferirla al Columbian Presbyterian. Le fonti sono discordanti sul modo in cui lo sportivo riuscì a farla uscire dall’istituto; secondo alcune i due uscirono di nascosto dalla cantina, per altre riuscì semplicemente a farla trasferire nell’altra clinica, mentre altre ancora sostengono che, dopo aver trascorso tre giorni alla Payne Whitney, venne trasferita alla Columbian per tre settimane dove giunse Di Maggio. In ogni caso, dopo che fu dimessa, raggiunse Di Maggio in Florida. A maggio dello stesso anno subì poi un intervento chirurgico per correggere un blocco alle tube di Falloppio; nel mese di giugno venne poi operata per calcoli alla cistifellea al Polyclinic Hospital di New York. L’11 luglio venne dimessa, venendo colpita da un microfono durante l’assalto dei giornalisti. Questi diversi interventi e le sue dipendenze non le permisero di girare alcun film per tutto il 1961.

La pellicola in cui riuscì – sia pur tra mille difficoltà sul set – a dare il meglio della sua carriera, fu “Gli spostati”, uno straordinario film diretto da John Huston e scritto dal marito Arthur Miller. Paradossalmente Miller ha scritto quello che era in realtà il rapporto con Marylin: un evidente fallimento dal punto di vista della comunicazione e della comprensione. L’attrice stupisce i critici per l’intensità e per il realismo della sua performance. I colleghi che lavorarono con lei sul set – Clark Cable, Monty Clift e Eli Walach – ricordarono soprattutto i suoi ritardi, i suoi vuoti di memoria e la sua profonda disperazione esistenziale. Marylin infatti fu licenziata durante le riprese di “Something’s got to give” (1962) di George Cukor, per la sua palese incapacità di poter lavorare.

la morte

Marilyn Monroe è stata trovata morta nella camera da letto della sua casa di Brentwood, a Los Angeles, il 5 agosto 1962, all’età di trentasei anni. Il cadavere di Marilyn, che era privo di vestiti e con in mano la cornetta del telefono, fu scoperto da Ralph Greenson, che era stato urgentemente chiamato alle 3.30 dalla governante dell’attrice, Eunice Murray, che si era preoccupata perché non riusciva a entrare nella camera di Marilyn; la porta era chiusa da dentro e, nonostante vedesse la luce accesa, non sentiva alcun rumore e nessuno rispondeva alle sue domande. La chiamata alla polizia per denunciare il fatto è pervenuta alle 4 e 25 ora locale, come da successivi accertamenti telefonici. Alcuni biografi ritengono però che siano trascorse cinque ore dal momento del decesso a quando vennero avvisate le autorità; in questo lasso di tempo, Marilyn sarebbe stata portata al Saint John’s Health Center di Santa Monica, ma l’ospedale rifiutò di accettare il caso per l’eccessiva notorietà della vittima. Un’indagine formale nel 1982 del procuratore generale della contea di Los Angeles si concluse senza nessuna credibile evidenza di un complotto. Secondo il dottor Thomas Noguchi, che eseguì l’autopsia, la morte di Marilyn era con “alta probabilità” un suicidio, dovuta a un’overdose di barbiturici; nel corpo dell’attrice trovò 8 milligrammi di idrato di cloralio e 4,5 milligrammi di Pentobarbital per 100 millilitri di sangue. L’incerta ricostruzione degli eventi di quella notte, la presenza non confermata di Bob Kennedy nella casa dell’attrice la sera prima della sua morte e alcune incongruenze nelle dichiarazioni dei testimoni e nel referto autoptico hanno dato adito a molteplici interpretazioni sugli eventi di quella notte e sulle cause della scomparsa dell’attrice. Tra le varie versioni formulate, venne ipotizzata la complicità dei Kennedy, che vedevano in Monroe, che si era detta pronta a confessare le loro relazioni con lei, una minaccia per la loro carriera politica oppure una vendetta della mafia americana nei confronti della famiglia Kennedy per alcune promesse fatte in campagna elettorale e non mantenute. A distanza di oltre mezzo secolo i lati oscuri e le ombre rimangono sulla scomparsa della stella più luminosa della storia del cinema.

Redazione
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