Tra il 2010, anno in cui sono state introdotte le prime misure di austerità, e il 2017, la spesa corrente è aumentata di 27,4 miliardi di euro. L’anno scorso la macchina pubblica ci è “costata” 692,4 miliardi di euro. Nonostante l’allungamento dell’età lavorativa imposto dalla riforma Fornero, il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici, la centralizzazione degli acquisti, i tagli ai Ministeri, alle Regioni, agli Enti locali e alla sanità, la nostra spesa pubblica continua ad aumentare. Tra il 2010 e il 2017, le uscite di parte corrente al netto degli interessi sul debito pubblico (costituite dalle spese per il personale, dai consumi intermedi, dalle prestazioni sociali, etc.) sono salite di 27,4 miliardi di euro.
Anche in rapporto al Pil, le uscite correnti risultano in deciso aumento: se all’inizio di questo decennio l’incidenza era pari al 41,4 per cento, l’anno scorso la stessa ha toccato il 42,8 per cento. Nel 2017 la macchina pubblica è “costata” agli italiani 692,4 miliardi di euro. Di segno opposto, invece, l’andamento delle principali spese in conto capitale, vale a dire gli investimenti. Se nel 2010 il valore ammontava a 64,7 miliardi di euro, nel 2014 è sceso a quota 49,2 miliardi: in questi 5 anni la caduta degli investimenti è stata spaventosa: – 23,9 per cento, pari a una riduzione in termini assoluti di 15,4 miliardi di euro.
“Pur riconoscendo che gli effetti della crisi hanno contribuito a espandere alcune voci di spesa – dichiara il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – la tanto sbandierata spending review, purtroppo, non ha ancora sortito gli effetti sperati. Questa situazione, ovviamente, pregiudica in maniera determinante l’obbiettivo primario che il Governo deve perseguire per riagganciare la ripresa, vale a dire il taglio delle tasse. Senza una drastica e strutturale sforbiciata alla spesa pubblica improduttiva, è impensabile ridurre il carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese. Per questo, l’Esecutivo deve riprendere in mano il lavoro lasciato a metà dall’ex commissario Cottarelli e portarlo a compimento. Altrimenti, il rischio che dal 2016 scattino le clausole di salvaguardia, con il conseguente aumento dell’Iva, è sempre più concreto.”
Analizziamo l’andamento registrato tra il 2010 e il 2017 delle 5 voci che compongono la spesa corrente della nostra Pubblica amministrazione (Pa). A seguito della riduzione delle unità di lavoro e del blocco dei rinnovi contrattuali dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche introdotto nel 2010 dal Governo Berlusconi, in questi ultimi 5 anni la “Spesa per il personale” è diminuita del 5 per cento: in termini assoluti il “risparmio” per le casse pubbliche è stato di 8,7 miliardi di euro.
Nonostante la centralizzazione degli acquisti dei beni e dei servizi avviata da qualche anno dalla Pa, i “Consumi intermedi” – che includono anche le spese di manutenzione ordinaria, le spese energetiche, quelle di esercizio dei mezzi di trasporto, la ricerca/sviluppo e la formazione del personale acquistata all’esterno – sono saliti del 3,4 per cento. In valore assoluto l’aumento ha sfiorato i 3 miliardi di euro. Oltre agli stipendi, l’altra voce che compone la spesa corrente ad aver registrato una variazione negativa è stata quella relativa a “Le prestazioni sociali in naturaacquistate” ovvero gli acquisti dei medicinali, dei farmaci, l’assistenza medica, etc. La contrazione è stata pari a 2,5 miliardi di euro (-5,5 per cento).
Sottolineando che l’80 per cento circa della “Spesa per le prestazioni sociali in denaro” è assorbita dalle pensioni, le uscite per il welfare hanno registrato una vera e propria impennata: l’incremento ha sfiorato il 10 per cento, mentre in termini assoluti l’aggravio è stato di ben 29,6 miliardi di euro. Nonostante gli effetti prodotti dalla riforma Fornero, a condizionare in maniera determinante questa espansione ha contribuito soprattutto la spesa pensionistica e, in misura più contenuta, i provvedimenti a sostegno al reddito erogati a famiglie e lavoratori che in questi ultimi anni si sono trovati in difficoltà. Dal 2014, inoltre, tra le “Prestazioni sociali in denaro” è stato computato anche il bonus degli 80 euro (5,8 miliardi di euro). Infatti, come ha avuto modo di ricordare il Ministero dell’Economia e delle Finanze qualche giorno fa, le statistiche non classificano il bonus degli 80 euro come un taglio fiscale, bensì come una misura di spesa sociale. Le “Altre uscite correnti”, infine, sono anch’esse salite in misura importante: se in termini percentuali l’incremento è stato del 10,1 per cento, in valore assoluto questa voce è aumentata di 6 miliardi di euro. Dalla CGIA ricordano che in questa voce sono comprese le spese residuali, quali gli ammortamenti e le imposte che versano le Pa.