Sandro De Fazi dà alle stampe per Telemaco Edizioni “Defending Bosie”
E in libreria, di Alfred Douglas, arriva anche “L’amore che non osa. Poesie per Oscar Wild” edito da Elliot
Lord Alfred Douglas è sempre stato un personaggio controverso, ancora oggi ritenuto colpevole di aver mandato in rovina Oscar Wilde. Il giudizio di condanna rivolto contro di lui è diventato ormai da troppo tempo un luogo comune, soprattutto in Italia: nel famigerato affaire Wilde-Douglas è stata sempre cosa ovvia e robotizzata brandire le salvaguardie dello scrittore irlandese. Con le pagine avvincenti di “Defending Bosie” (Telemaco Edizioni, 322 pagine, 15,00 euro) Sandro De Fazi (nato a Civitavecchia nel 1960, vive tra Napoli e Caserta. Laureato in Filosofia, è docente di letteratura italiana e lingua e cultura latina ed ha collaborato col Dipartimento di Psicologia della Seconda Università di Napoli e vari enti culturali. Ha presentato alla Biblioteca del Senato il saggio “Ti scrivo brevemente per chiederti scusa dei miei silenzi. Vita di Gaetano Dimatteo” con prefazione di Elio Pecora. Il suo esordio narrativo è col romanzo breve “Più romano che greco”, edito nel 2000. Nel 2001 ha presentato in catalogo la personale di Gaetano Dimatteo “Chant d’amour’ per Pier Paolo Pasolini”. Sua anche la raccolta di versi “Vacuo cielo” del 1986, mentre di recente è uscito “Il dramma dell’ultimo Virgilio”), diversamente da altri, si prefigge l’obiettivo di ribaltare tutte le logiche abituali, impugnando ogni possibile difesa a favore di Alfred Douglas, di cui viene ripercorso il ritratto e rivalutato l’indubbio valore di poeta, di dandy. Lo stesso autore, nel prologo, annota come “Il giudizio di condanna rivolto contro Bosie, una sorta di ‘damnatio memoriae’ soprattutto come mostro responsabile della rovina dell’amico, è stato per troppo tempo unanime e penso sia giunto il momento di rendere giustizia a Douglas. Nella famigerata ‘querelle’ Wild-Douglas è sempre stata cosa ovvia e automatica prendere le parti dello scrittore irlandese”. E per realizzare tutto questo De Fazi è ricorso all’azione di leggersi opere in lingua inglese mai tradotte in italiano di autori come Rupert Croft-Cooke, Harford Montgomery Hyde, Douglas Murray, Neil McKenna. Impropria ma decisamente piacevole, la rivalutazione di Bosie -condotta in modo amabile- rivede l’intera vicenda dei due sotto una luce diversa, arrivando a rendere la figura di Lord Douglas decisamente contemporanea e punto di riferimento attuale: non mancano infatti i paralleli che De Fazi trova con personaggi a noi coincidenti. Va anche aggiunto che questo bel testo non manca di concedere al lettore pure un quadro d’insieme dell’Età vittoriana, sotto il profilo letterario e dei comportamenti sociali, soffermandosi su alcuni protagonisti della letteratura europea di quegli anni e immediati dintorni, tra i quali in primo luogo John Addington Symonds (1840-1893) e Jacques d’Adelswärd-Fersen (1880-1923). Non sono in molti però a ricordare che Lord Alfred Bruce Douglas, Marchese di Queensberry, soprannominato “Bosie” (nato a Worcestershire il 22 ottobre 1870 e morto a Lancing il 20 marzo 1945), è stato un poeta, scrittore e traduttore britannico, ricordato soprattutto per il fatto di essere stato -appunto- il compagno dello scrittore Oscar Wilde; spesso si dimentica anche che Douglas è stato un poeta uraniano. Incontrò Wilde nel 1891 iniziando istantaneamente una relazione con lui (sedotto all’istante da quell’angelo biondo di nobili origini, Wild lo erge a suo ‘maestro d’arte e di vita’). Quando suo padre, il marchese di Queensberry (col quale Alfred aveva già rapporti di odio reciproco a causa del carattere intrattabile di entrambi), scoprì il legame del figlio, insultò pubblicamente Wilde con un biglietto sgrammaticato lasciato al club dello scrittore dublinese. Il biglietto, che era un biglietto da visita, portava scritto: “Ad Oscar Wilde, che si atteggia a sodomita”. Wilde, su istigazione insistente di Alfred e della sua famiglia, querelò allora il marchese per diffamazione. Il confronto diventò inevitabile e in molti credettero che Alfred spingesse Wilde a combattere suo padre per il puro desiderio di vederlo in carcere. Strumentalizzato dal giovane, Wild venne infine accusato formalmente di “oscena indecenza”, eufemismo per indicare ogni atto omosessuale, pubblico o privato, reato all’epoca per il quale fu sottoposto a processo e poi condannato a due anni di carcere e di lavori forzati, imprigionato dapprima nel carcere di Wandsworth e successivamente in quello di Reading. Durante la sua permanenza nel carcere di Reading, Wilde scrisse una lunga lettera all’amico, composta nei primi mesi del 1897 e pubblicata, postuma, in edizione ridotta nel 1905 da uno dei più grandi amici di Wilde, il giornalista Robert Ross, sotto il titolo di “De profundis”. Una delle due copie della lettera originale fu inviata allo stesso Douglas, che negò di averla mai ricevuta. Dopo la scarcerazione di Wilde, i due convissero per breve tempo in Italia. A Napoli Douglas abbandonò definitivamente Wilde, forse temendo di essere diseredato dalla famiglia. Douglas pubblicò diversi libri di poesia (poi riuniti nel 1928 in “The Complete Poems” e “Sonnets” nel 1935, mentre quattro anni prima, nel 1931, pubblicò “The autobiography of Lord Alfred Douglas. Ma ci furono pure due libri sulla sua relazione con l’irlandese, “Oscar Wilde and myself” del 1914 -in realtà in larga parte scritto da T.W.H. Crosland, e “Oscar Wilde: A summing up”. Sua è la poesia “Two loves” (“Due amori”) usata contro Wilde al processo per il famoso verso che definisce l’omosessualità “The love that dare not speak its name” (“L’Amore che non osa pronunciare il proprio nome”). L’importanza del volume di De Fazi -è d’obbligo dire ch’era necessario- mette anche in chiaro una personalità bizzarra, controcorrente, dalla potenziale provocatorietà che rese Bosie un inattuale in contrapposizione col bigottismo vittoriano, ossia in contrasto col pensiero dominante dell’epoca. Di sicuro “Defending Bosie” si mostra quale libro commovente e determinato anche per le sue asprezze, per la crudeltà che a volte si abbatte sui ‘diversi’, su poeti sensibili; un libro che però ci narra anche dell’amore e della possibilità di salvezza, uno scampo -questo- mostrato dal lessico scelto, che non teme di ostentare gli enigmi dell’anima e del senso avvallato del nostro trovarsi a continuare a vivere nonostante il male. Infatti, anche a Douglas non fu risparmiata l’esperienza carceraria (sebbene per accusa decisamente diversa): nel 1923 fu arrestato per aver pubblicato un libretto diffamatorio contro il futuro primo ministro Winston Churchill; imprigionato per un solo anno (fu rilasciato per buona condotta), la vicenda lo lasciò a cinquantatré anni in cattiva salute, facendogli avere cognizione diretta di una ingiustizia sociale a lui ignota. Negli ultimi anni della sua vita Douglas, che nel 1913 aveva perso tutti i suoi averi a causa della procedura di fallimento civile intentatagli da un usuraio, visse soprattutto dell’eredità materna. Il padre, infatti, aveva dilapidato gran parte delle sue fortune. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, lasciò Londra e si rifugiò presso una coppia di amici a Lancing, nel West Sussex, dove morì per insufficienza cardiaca. Infine, non possiamo di certo definire “Defending Bosie” una biografia (anche se a leggerlo si viene a conoscenza di molto sulla sua esistenza); piuttosto va considerato come una inconsueta tutela nei suoi riguardi, scritta con perizia quasi fosse un romanzo che ci traina in un vortice di emozioni insperate. Pertinente alla pubblicazione del libro di De Fazi, Elliot manda in libreria “Alfred Douglas. L’amore che non osa. Poesie per Oscar Wild”, (178 pagine, 18,50 euro) con traduzione e cura di Silvio Raffo. “Io sono l’Amore, che il suo nome non osa pronunciare”, il verso già citato sopra, è ormai il manifesto degli amori impossibili o messi al bando dalla società. Ora lo possiamo rileggere consacrandogli l’importanza che merita, grazie a questo volume che raccoglie per la prima volta in Italia cinquanta liriche di Douglas. Raffo, fecondo traduttore di poetesse e poeti angloamericani, offre con fedeltà preziosa questa sua versione di poesie che colmano un vuoto, non omettendo di fornire rivelazioni singolari sul rapporto con Wilde (non ci fu solo sentimento, ma anche letteratura), ricostruendone le fasi con accuratezza filologica e una precisione che sa di cronologia: Wild chiama Douglas “il giovane Domiziano” o “il mio bianco narciso”, ma soprattutto “Bosie” (vezzeggiativo da boy e rose, “ragazzo di rosa”); legge e rivede i suoi versi, li giudica “amabili”, “una musica di flauto e luna”, lo aiuta a pubblicare, anche con successo, se addirittura George Bernard Shaw saluta Douglas come “il miglior compositore di sonetti dopo Shakespeare”. Purtroppo, come i due libri sottolineano (anche se in modo disuguale) anche Bosie sarà affrancato da una sorta di malaugurio, una fattura: nel mezzo secolo in cui sopravvive al compagno, riuscirà a distruggere la sua esistenza: il matrimonio, la paternità (il figlio Raymond viene internato in manicomio), la carriera di critico (dirige senza successo alcune riviste letterarie) e quella di poeta. Maurizio Gregorini