Alle Scuderie del Quirinale una splendida
mostra ne onora la memoria
Inaugurata alle Scuderie del Quirinale il 17 ottobre scorso la splendida mostra dal titolo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”starà su sino al 20 gennaio 2019. La grande qualità, della molto esaustiva ed intelligente esposizione, trova un ottimo riscontro nelle parole del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Alberto Bonisoli: “Onora al meglio il bimillenario della morte di un grande poeta della latinità che con la sua opera ha influenzato la produzione creativa sino ai nostri giorni, come ben rappresentato dai capolavori presenti in mostra. Duecentocinquanta opere provenienti da quasi ottanta musei nazionali e internazionali illustrano la fortuna ovidiana nei secoli, restituendoci la potenza e la forza della sua poetica”. Noto principalmente solo come Ovidio (ma è Publio Ovidio Nasone il suo nome per intero) nacque a Sulmona nell’anno 43 avanti Cristo e morì (in esilio) a Tomis (ora Costanza) sul Mar Nero nell’anno 18 dopo Cristo ( come è noto l’anno della nascita di Cristo è considerato l’anno zero per le datazioni prima – antea (a.C.n.) e dopo – postea (p.C.n.). Ma come mai un grande poeta e scrittore in somma auge durante il periodo augusteo, ed addirittura fra i prediletti assoluti di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, fu dallo stesso relegato a finire i suoi giorni a Tomis (ora Costanza in Romania) nel lontano Mar Nero, ove il sulmonese Ovidio concluse la sua vita artistica scrivendo addirittura un’opera molto bella ma dal titolo già sufficientemente esemplificativo anche per i non “addetti ai lavori”: I Tristia, nel quale il grande abruzzese fra l’altro scrive (con molta cupezza): “ Perdiderint cum me duo crimina, carme et error alterius facti culpa silenda mihi”. (“Due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore di questo debbo tacere quale è stata la colpa”). Da secoli si è cercato di comprendere cosa si nasconde in questa frase e soprattutto perché uno dei più grandi, veramente in assoluto, poeti della latinità, fino ad allora in grande auge presso la corte imperiale, fu di punto in bianco giubilato, senza niuno appello, ai confini di allora già imponente impero romano (poi, come è noto, successivamente ulteriormente estesosi al massimo sotto l’imperatore Marco Ulpio Traiano (lui nato in Iberia) fino a giungere ad una espansione massima di sei milioni di chilometri quadrati! oltre la metà dell’ attuale Europa che è i poco più di dieci milioni di chilometri quadrati). Fra tutte le ipotesi fatte (e non sono poche) quella che appare con un corpus più solido delle altre sembra sia che Ovidio nei Fasti (opera interrotta causa esilio) – ecco il carme citato – aveva svelato il nome segreto di Roma (Maia), cosa ritenuta una colpa gravissima ed aveva anche instaurata una illecita relazione con Giulia Maggiore la figlia di Augusto già moglie di Tiberio, l’error anche questo citato nella criptica frase contenuta nei Tristia; sta di fatto che Ovidio non svelò mai quale furono il carme e l’error che lo fecero cadere in disgrazia con relativo rapido allontanamento dall’ Aeterna Urbs (vds. Tibullo); di fatto, comunque, si trattò del primo vero grande intellettuale alle prese con il potere. Tornando alla specifica della bellissima Mostra ospitata degnamente nei più che rilevanti ambienti delle Scuderie del Quirinale essa ospita oltre 200 opere dall’antichità ad oggi tra affreschi e sculture antiche, rilievi, gemme, preziosissimi manoscritti medievali e dipinti di età moderna (il tutto si avvale anche di alcuni prestiti internazionali del parigino Louvre e della londinese National Gallery) accompagneranno il racconto della vita del poeta e dei temi al centro dei suoi scritti: l’amore, la seduzione, il rapporto con il potere ed il mito, e ben fa comprendere quanto le opere di Ovidio abbiano influenzato la cultura universale fino ai nostri giorni passando indenni attraverso il vaglio storico-sociale bimillenario ispirando, con certezza, tanto i Tanti che si chiamino essi Botticelli (presente con la Venere Pudica della Galleria Sabauda), Cellini, Tintoretto, Ribera, Saraceni, Poussin, Batoni (tutti presenti con alcune loro opere) fino a giungere alla pregevole installazione al neon di Joseph Kosuth che accoglie i visitatori all’entrata citando i versi del “poetissimo” di Sulmona: “Quod cupio mecum est” (“Quel che bramo l’ho in me”) e poi tanti altri prestiti veramente molto importanti come ad es. la magnifica Venere “Callipigia” (“dalle belle natiche”) del II° secolo p.C. proveniente dal-l’Archeologico di Napoli, l’Ermafrodito (di Palazzo Massimo a Roma) gli affreschi bellissimi provenienti dagli scavi di Pompei. Parlare di Publio Ovidio Nasone fa ricordare come, da lui provenienti, siano ormai nell’usato lessico nomi come Ermafrodito, Pigmalione, Adone, Narciso, Icaro, Meleagro oppure Proserpina o Arianna non dimenticando i Bacchi vari inseriti nel poetico “filtro magico” di opere immortali (vds. il titolo della Mostra) come l’Arte Amatoria e le Metamorfosi. Chi scrive ha sempre rimandato il lettore alle visioni dirette delle varie Mostre per motivi ovvii e consequenziali e più che mai intende farlo in questo caso ove“Ovidio. Amori, miti e altre storie” è tutta veramente da gustare centellinandola passo dopo passo. Il merito di tutto questo “ben di dio” (culturalmente parlando) in questo caso ha un nome ben preciso nella Persona della d.ssa Francesca Ghedini archeologa di vero rango bravissima curatrice della superba Mostra che ha messo a “fuoco pieno” (fotograficamente parlando) il non facile personaggio di Ovidio, tanto chiaro ma nello stesso tempo piuttosto “misterioso” fino al punto di arrivare a scrivere Lui stesso: “Ho ormai compiuto un’opera che non potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore … e il mio nome resterà: indelebile”. Basterebbe questa frase per inquadrare un fior di Personaggio che comunque emerge a tutto tondo, in questo caso in chiave squisitamente letteraria, andandosi a leggere e rileggere le sue bellissime opere. Fermo restando il grande inconfessabile segreto, che non ci sarà mai svelato visto che neppure Lui lo ha fatto, del perché un poeta illustrissimo tanto in auge ai suoi tempi anche presso i potenti ed i colti dell’epoca, un sommo Poeta il quale ha passato indenne, con indubbio grande smalto, duemila anni di storia, amatissimo e stimatissimo ieri come oggi, fu esiliato, senza appello, in men che non si dica. Questo è stato ed è il vero mistero di Ovidio di cui, forse, furono a conoscenza, solo i suoi Lari ed i suoi Penati. Dimenticavo di dire che il sommo Dante collocò Ovidio fra i quattro Spiriti Magni (il massimo secondo l’Alighieri) e lo usò non solo come thesaurus mitologico (fabulares in latino) ma come modello immaginifico e spesso stilistico più di qualsiasi altro poeta antico. Però! Arnaldo Gioacchini