Tutti hanno occhi e testa puntati sul 10 novembre, quando è attesa la sentenza su Virginia Raggi nel caso Marra. Sono militanti, dirigenti e big del Pd romano che fanno in conti con un possibile ‘show down’ che rischia di riaprire in anticipo le porte del Campidoglio
Molti erano in piazza del Campidoglio qualche giorno fa alla manifestazione di “Roma dice basta“, molti guardano con attenzione all’esito del referendum sull’Atac dell’11 novembre. Tutti hanno occhi e testa puntati sul 10 novembre, quando è attesa la sentenza su Virginia Raggi nel caso Marra. Sono militanti, dirigenti e big del Pd romano che fanno in conti con un possibile ‘show down’ che rischia di riaprire in anticipo le porte del Campidoglio.”Il Pd deve farsi trovare pronto, come è già successo nei municipi in cui si è andati al voto in anticipo questi mesi”, dice Luciano Nobili, deputato dem romano. Senza escludere alcuna ipotesi, comprese soluzioni ‘tecniche’ che potrebbero tenere lontane le urne (come fece De Magistris quando, condannato in primo grado, passò le deleghe al suo vice sindaco), il Pd nella Capitale ragiona non da ieri sugli effetti di una eventuale condanna della prima cittadina.
“Il Pd a Roma deve ripartire per dare cuore e testa, organizzazione e sudore per vincere una sfida durissima e salvare la nostra città”, ha scritto su Twitter il deputato dem Filippo Sensi. Il ‘tam tam’ sul candidato sindaco ideale risuona da un po’. Il nome che circola sulla bocca soprattutto dei militanti dem è quello di Paolo Gentiloni: l’ex premier ha di certo il profilo giusto. Un nome di grande peso come il suo, tra l’altro, potrebbe superare le difficoltà di una candidatura da lanciare in poco tempo e in un vuoto di leadership, visto che il Pd è in piena fase congressuale. Ma se i ‘gentiloniani’ puntano a solleticare l’amore dell’ex premier per Roma (mai nascosto), convincerlo appare al momento complicato. Gentiloni è attualmente molto impegnato nella ricostruzione del fronte di centrosinistra, anche in vista del voto delle europee, e sul rilancio del Pd. Tra l’altro, nonostante il ‘no, grazie’ pronunciato a chi gli chiedeva il suo impegno come ‘spitzenkandidaten’ del Pse, resta uno dei pochi nomi spendibili per la guida del Consiglio europeo.Restando agli ex ministri, un altro nome che circola da tempo è quello di Carlo Calenda. Ma anche lui sembra guardare altrove: “Se fanno il Fronte democratico io mi candido alle europee e faccio campagna elettorale 24/24 7/7”, ha scritto su Twitter. E poi c’è da non sottovalutare mai, a Roma, il peso delle aree interne. Per questo, alla fine potrebbe spuntarla un nome più di ‘appartenenza’. Come quello di Michela Di Biase, pedigree da perfetta anti-Raggi: ha guidato lei l’opposizione capitolina fino a quando non ha optato per il Consiglio regionale. E’ di Area Dem, la corrente di Dario Franceschini (di cui è anche moglie). Da sempre si spende per Roma, poi, Roberto Morassut: deputato, già in Consiglio con i Ds e poi in Campidoglio da assessore di Veltroni, ha promosso un tour per tutta Roma con un ‘camper democratico’. Già coordinatore della mozione Renzi, si è appena schierato nella sfida congressuale con Nicola Zingaretti che, comunque vada, difficilmente non avrà voce nella eventuale scelta di un candidato sindaco di Roma. Potrebbero poi essere della partita Roberto Giachetti, già candidato sindaco alle ultime elezioni che ha annunciato l’intenzione di optare per Roma rispetto al Parlamento, o il segretario dei Radicali Riccardo Magi: “Se riuscissimo a raggiungere il quorum potrei candidarmi al Campidoglio”, ha annunciato in vista del voto sul referendum Atac dell’11 novembre.