Un vestito ha scosso l’Egitto e il clamore continua. Ieri i pubblici ministeri hanno interrogato per quattro ore l’attrice Raina Youssef, accusata “atti osceni in luogo pubblico” dopo aver indossato un abito che ne lasciava intravedere le gambe durante una cerimonia al Festival internazionale del cinema di Cairo. La donna dovrà ora affrontare un processo penale, la cui data di inizio è stata fissata al 12 gennaio. Youssef rischia fino a cinque anni di carcere. In seguito alla diffusione sui social delle foto dell’attrice con indosso l’abito ‘incriminato’, un gruppo di avvocati ha depositato un esposto contro la star egiziana dal procuratore generale che ha rapidamente chiesto un processo. Secondo l’avvocato Shaban Said, la donna è attualmente a piede libero ma dovrà comunque comparire in tribunale, nonostante il gruppo di avvocati abbia ritirato la denuncia dopo le scuse pubbliche. In un messaggio pubblicato su Facebook, Youssef ha spiegato di aver valutato male la reazione all’abito, scelto da stilisti che potrebbero essere stati influenzati dagli standard dei festival internazionali. Oltre agli attacchi feroci, la donna si è vista negare anche ogni forma di solidarietà da parte dei colleghi. L’associazione egiziana degli attori ha dichiarato in un comunicato che intende indagare e prendere misure contro attori che indossano abiti “inappropriati” durante le cerimonie di apertura e chiusura del Festival, affermando che sono in contrasto con le “tradizioni, i valori e l’etica della società”. “Nonostante crediamo fermamente nella libertà personale degli artisti, chiediamo a tutti di assumersi le proprie responsabilità verso i fan che apprezzano la loro arte e li vedono come modelli da seguire”. Nel Paese non sono nuovi casi del genere, ricorda la BBc online. Solo pochi mesi fa una ballerina russa di danza del ventre era finita sotto processo per turbamento della moralità, mentre lo scorso anno la cantante Shima Ahmed era stata condannata a due anni di reclusione a causa del video di una delle sue canzoni: l’accusa era di “incitamento al libertinaggio”.