“Se si instaura una terapia con immunoglobuline entro il decimo giorno si possono contrastare gli effetti più gravi della sindrome di Kawasaki”, una patologia rara, per la quale è stato ipotizzato un nesso con Covid-19. A sottolinearlo è Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria (Sip) e componente del Comitato tecnico scientifico su Covid-19. “Ogni anno ci sono 250-400 casi di questa sindrome in Italia, ed è stato segnalato un aumento importante nell’area di Bergamo. Al momento però il nesso fra Covid-19 e la sindrome non è ancora dimostrato”, precisa il pediatra, aggiungendo che “è in corso un attento monitoraggio da parte degli 11 mila pediatri della Sip”. Cruciale, in questo caso, una pronta diagnosi che consenta il trattamento dei bambini entro 10 giorni. “Ma sappiamo che in questo periodo la paura del coronavirus sta tenendo lontani dagli ospedali. Un errore grave – ribadisce l’esperto – La mia raccomandazione è quella di non sottovalutare i sintomi spia: febbre sopra 38,5 per cinque giorni, che non risponde a terapia, congiuntivite non secretiva, linfonodo laterocervicale ingrandito, gonfiore del dorso delle mani o dei piedi, labbra e lingua ingrossata, macchie sul corpo. Se la febbre è accompagnata da almeno 4 sintomi, che possono apparire anche non contemporaneamente, allora si fa una diagnosi di sindrome di Kawasaki”, spiega il pediatra.
La malattia di Kawasaki “è una vasculite, che a volte interessa le arterie coronariche. La fascia d’età più colpita e da 1 a 5 anni (75%) – ricorda Villani -. Possono svilupparsi aneurismi delle arterie coronariche e rompersi o causare infarto del miocardio. La terapia, se attuata in tempo, permette di non avere esiti importanti, ma il fattore tempo è fondamentale: il timore di portare i bambini in ospedale per paura del coronavirus li espone a seri rischi. Inoltre bisogna dire che non tutti i casi di Kawasaki rilevati erano positivi a Covid-19: ecco perchè il monitoraggio in corso sarà cruciale per fare chiarezza”.