Una serie di caratteristiche genetiche dei sardi, preservate dall’insularità, potrebbe essere alla base della bassa mortalità e del basso indice di contagio da Coronavirus. È la tesi sostenuta in uno studio di un’equipe di ricercatori dell’università di Cagliari pubblicato sulla rivista scientifica ‘Frontiers in Immunology’. Il bollettino Covid-19 del 22 novembre 2020 della Regione Sardegna comunica 18.089 persone infettate, 379 morti, 504 ricoverati e 70 pazienti in terapia intensiva. Quello che salta all’occhio – secondo gli studiosi – è la bassa mortalità che si attesta sul 2%, ovvero la metà rispetto alla media nazionale e un indice Rt tra i più bassi di Italia. Anche la positività agli anticorpi anti-Sars-CoV-2 nella popolazione sarda, pari allo 0.3%, secondo i dati Istat del 3 agosto, pone la Sardegna agli ultimi posti in Italia come popolazione entrata in contatto con il virus. Questi dati potrebbero essere collegati alla chiusura repentina dei porti e degli aeroporti dal 9 aprile al 15 giugno, alle misure di distanziamento sociale, all’uso delle mascherine e a tutte le altre strategie messe in atto, ma forse non solo. Infatti, ci si può chiedere se esistano anche fattori biologici, che possano determinare una riduzione dei contagi e di conseguenza della trasmissione del virus, dato che è ormai dimostrato che la popolazione sarda, a seguito dell’insularità, presenta caratteristiche genetiche omogenee e peculiari. Sulla base di queste considerazioni, è nato uno studio per ricercare i fattori clinici e immunogenetici che potrebbero spiegare la bassa incidenza di infezione di Sars-CoV-2 e di quadri clinici gravi e mortali del Covid-19 in Sardegna. Il progetto di ricerca, denominato Corimun, è stato coordinato da Roberto Littera, immunogenetista, da Marcello Campagna, docente di Medicina del Lavoro, da Andrea Perra, docente di Patologia Generale e da Luchino Chessa, docente di Medicina Interna, dell’Università degli Studi di Cagliari, con il contributo di Silvia Deidda e Goffredo Angioni, pneumologa e infettivologo dell’ospedale SS. Trinità. Lo studio ha preso in considerazione persone infettate dal Sars-CoV-2, di cui oltre il 20% con malattia polmonare medio-severa ed il restante asintomatico o pauci-sintomatico. Il gruppo dei pazienti è stato confrontato con un gruppo di controllo di individui sani. Gli studi di immunogenetica si sono concentrati sull’analisi del Sistema HLA (Human Leukocite Antigen), alla base della produzione di molecole fondamentali nella regolazione del sistema immunitario verso le infezioni e i tumori. Dal lavoro è emerso un dato che concorre a giustificare la scarsa circolazione del virus: nella popolazione degli individui infettati è assente un particolare assetto genetico caratteristico della popolazione sarda, una sequenza ancestrale di geni denominata aplotipo esteso HLA-A*02, B*58, C*07, DR*03, che risulta quindi protettivo nei confronti dell’infezione. In altre parole, le persone che presentano ‘l’aplotipo esteso’ caratteristico della popolazione sarda sembrerebbero non ammalarsi di Covid-19. Tra le altre caratteristiche studiate, è risultato avere un effetto protettivo il fatto di essere portatori di beta-talassemia (gene mutato che determina la talassemia o anemia mediterranea) e aver effettuato la vaccinazione influenzale nella passata stagione. Ma la ricerca ha anche evidenziato una serie di fattori importanti nel caratterizzare una malattia più severa nei pazienti infettati da Sars-CoV-2, quali: la presenza di un allele HLA, denominato HLA-DRB1*08, la carenza dell’enzima G6PDH, che determina il favismo, e come conseguenza di quanto detto sopra, non essere portatori di beta-talassemia e non aver effettuato la vaccinazione influenzale nella passata stagione. Il lavoro, svolto in collaborazione con l’Associazione per l’Avanzamento della Ricerca sui Trapianti AART-ODV e con il contributo della Fondazione di Sardegna, è solo all’inizio, ma mette in luce alcuni aspetti importantissimi per le scelte future di politica sanitaria, quali l’importanza della vaccinazione anti-influenzale, che si dimostra essere un’arma nella lotta contro il nuovo coronavirus e di conseguenza – affermano i ricercatori dell’ateneo sardo – deve essere fortemente raccomandata.