La droga nel biberon
Per gli investigatori Diana non si sarebbe mai alzata dal lettino da campeggio in cui era stata sistemata, non solo perché non era in grado di camminare, ma anche perché era stata drogata con benzodiazepine. Nel soggiorno in cui si trovava la bambina è stato trovato il biberon con residui di latte. Saranno questi a provare quanto benzodiazepine le è stato realmente somministrato, anche se la mamma di Diana continua a ripetere di non aver drogato la sua bambina. Ma per la Procura, l’esistenza di benzodiazepine, che risulterebbe sui capelli di Diana, è un dato inconfutabile, al punto da anticipare anche che si tratterebbe di dosi massicce.
Le indagini
Sono stati respinti dal giudice per le indagini preliminari gli ultimi accertamenti, sempre richiesti dalla difesa, su due tazzine da caffè trovate nella cucina del monolocale di via Parea. Sono state ritenute dal giudice “accertamenti inutili e dispersivi”. Per la difesa invece, le tazzine avrebbero potuto provare l’esistenza in casa di più persone nelle ore precedenti alla morte di Diana. La procura ha fatto sapere che subito dopo l’esito dell’incidente probatorio chiederà il giudizio immediato con l’accusa di omicidio pluriaggravato. In questo contesto giudiziario (reato è punibile con la pena dell’ergastolo), per la difesa, quindi, non sarà più possibile chiedere l’abbreviato e si andrebbe, nel caso, direttamente alla discussione in Corte D’Assise.
La posizione della mamma
Alessia Pifferi, in carcere da luglio, ha sempre negato di aver fatto ingerire droghe alla figlia, dicendo di averle dato solo gocce di paracetamolo. La donna non ha mai cambiato versione sul motivo per cui aveva deciso di lasciare sola la bambina, e cioè sul bisogno di crearsi una vita con il suo fidanzato (che non sapeva della bimba lasciata sola). Anche l’analisi delle chat del telefono ha confermato che Diana era vissuta come un peso dalla madre, un limite alle sue frequentazioni.
La dipendenza dal compagno
Stando a quanto scrive il gip, la Pifferi aveva una “forma di dipendenza psicologica dall’attuale compagno, che l’ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell’inflizione di enormi sofferenze” alla bimba. Con una “condotta dall’impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva, nei confronti della persona in assoluto più vulnerabile”. La donna, prosegue il giudice, è “incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti” e non ha “rispetto per la vita umana”.