La temperatura media globale è destinata a crescere sempre di più nel corso dei prossimi anni. A dirlo il nuovo report dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo). Tra il 2023 e il 2027 potremo assistere per la prima volta al superamento di oltre 1,5 gradi i livelli preindustriali per almeno un anno. Le probabilità sono almeno del 66%, mentre quasi certamente (al 98%) uno dei prossimi cinque anni, e il quinquennio nel suo insieme, sarà il più caldo mai registrato. Se nello scorso biennio (2022-2026) le probabilità erano del 50%, i nuovi dati indicano sempre di più l’avvicinarsi la soglia oltre la quale potrebbero esserci conseguenze disastrose a catena per il pianeta.
L’impatto di El Nino Tra le cause principali vi sono i gas serra ed El Nino, fenomeno climatico periodico che provoca un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico. “Un riscaldamento di El Nino è atteso nei prossimi mesi e questo si combinerà con il cambiamento climatico di origine umana, per spingere le temperature globali verso territori mai toccati. Questo avrà vaste ripercussioni per la salute, la sicurezza alimentare, la gestione dell’acqua e l’ambiente. Dobbiamo essere preparati” ha commentato il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas.
Taalas: “Supereremo il livello di 1,5°C con frequenza crescente” La temperatura globale media prevista tra il 2023 e il 2027 è compresa tra gli 1,1 C e 1,8 C sopra la media del periodo 1850 – 1900. “Quanto segnalato in questo report non vuol dire che supereremo permanentemente il livello di 1,5°C specificato negli accordi di Parigi, dato che si riferisce al riscaldamento a lungo termine. Tuttavia, il Wmo sta lanciando l’allarme che supereremo temporaneamente il livello di 1,5°C con frequenza crescente” ha aggiunto Taalas.
Gli effetti immediati Continuerà l’aumento del riscaldamento già osservato nell’Artico, dove la temperatura dovrebbe aumentare tre volte più velocemente rispetto alla media del periodo 1991-2000. Le precipitazioni sono destinate ad aumentare in zone come il Sahel, nel Nord Europa, in Alaska e nel Nord della Siberia, mentre un diminuzione è prevista nel bacino amazzonico e in alcune parti dell’Australia.