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mercoledì, Luglio 24, 2024

Iscrizioni scolastiche, il “braccio di ferro” tra famiglie e scuole sui contributi per gli istituti:

Puntuali come un orologio svizzero hanno bussato alle porte delle famiglie anche quest’anno. Stiamo parlando dei contributi da versare nelle casse della scuola all’atto di iscrizione all’anno successivo. Sulla carta dovrebbero essere volontari, nella pratica in molti casi diventano necessari per il buon funzionamento degli istituti. Così da costringere i richiedenti a dover forzare la mano, in varie forme: si va dalla mancata trasparenza in merito alla natura volontaria del versamento fino a minacce, più o meno velate, di mancata iscrizione o partecipazione ad alcune attività.

Cosa bisogna pagare quando ci si iscrive alla scuola superiore?

“Se si va a leggere la circolare ministeriale che regola i processi di iscrizione, viene chiaramente indicato che l’unica somma di denaro che le famiglie sono obbligate a versare per l’iscrizione e la frequenza scolastica è rappresentata da due tasse, la tassa d’iscrizione e la tassa di frequenza, il cui ammontare complessivo è di poco più di 20 euro. E peraltro questi tributi vanno pagati solo dagli studenti del quarto e del quinto anno delle scuole superiori. La logica è semplice: se c’è un obbligo scolastico, stabilito dalla Costituzione, non ti posso imporre di versare una tassa per poter espletare tale diritto/dovere. Peraltro da queste imposte sono esonerati gli studenti che provengono da nuclei familiari con ISEE inferiore ai 20.000 euro.

Tuttavia, la stessa circolare fa riferimento alla possibilità da parte dei singoli istituti di poter richiedere un contributo alle famiglie di natura volontaria. Scavando nella normativa, emerge che questo contributo ha una natura in parte volontaria, in parte obbligatoria. E questo va a determinare quelle che sono poi delle situazioni di incertezza che portano scuola e famiglia a non trovarsi d’accordo sulla questione”.

Che cos’è il contributo scolastico volontario e a cosa serve?

“Il contributo volontario serve soprattutto per offrire alle famiglie la possibilità di poter contribuire alle risorse finanziarie della scuola in modo da ampliare l’offerta formativa. Quindi nasce come una elargizione che le famiglie possono decidere di dare, ma anche di non dare, e che chiaramente dovrebbe garantire maggiori servizi in un’offerta didattica ulteriore rispetto a quella curricolare, cioè quella standard che deve essere garantita sempre, indipendentemente dal pagamento del contributo”.

Cosa comprende?

“Qui nasce l’inghippo. Nel senso che, sulla carta, quando le scuole vanno a richiedere un contributo alle famiglie all’atto dell’iscrizione, spesso inglobano in questa somma – che per natura dovrebbe essere volontaria – anche tutta una serie di voci di spesa che invece sono considerate connesse all’assolvimento dell’obbligo scolastico e anticipate dall’istituto per conto delle famiglie. Si va dalle fotocopie al libretto delle giustificazioni, passando per il servizio di registro elettronico e per le polizze assicurative con coperture supplementari, solo per fare qualche esempio. Ma in virtù di fonti normative che affondano le radici in regi decreti degli anni ‘20, tra questi ‘rimborsi spese’ possono figurare anche quelle necessarie a coprire il funzionamento dei laboratori in termini di materiali di consumo: pensiamo al cibo che serve in un istituto alberghiero o alle materie prime in un agrario e così via.

La logica anche qui è intuibile: la scuola dell’obbligo è gratis, ma i materiali di consumo di ogni singolo studente sono a carico delle famiglie. Insomma: io ti pago i prof e i banchi, tu porti carta e penna. Tuttavia, mettere insieme ciò che è assolutamente volontario con ciò che è giusto pagare, crea una zona grigia”.

Quindi il contributo scolastico è detraibile dalle tasse?

“Il contributo volontario, se versato con strumento di pagamento tracciato, è detraibile nella misura del 19% a patto che riporti la causale giusta. Ovvero quella di una erogazione libera in favore di una o più di queste finalità: innovazione tecnologica, edilizia scolastica e ampliamento dell’offerta didattica e formativa. Se l’istituto scolastico ne richiede il pagamento con causali diverse, potrebbe renderne inefficace la detraibilità”.

Cosa succede se non si paga il contributo volontario scolastico? Si rischia comunque di perdere il posto nella scuola?

“Per quanto riguarda l’iscrizione al primo anno di scuola, la formalizzazione dell’iscrizione è sconnessa dal pagamento del contributo scolastico, e questo avviene anche negli anni successivi. Se non si paga il contributo scolastico, non si perde il posto a scuola perché ciò lederebbe il diritto allo studio garantito dalla costituzione”

Perché ci sono istituti che sono più esigenti di altri nel richiedere il pagamento di un contributo scolastico?

“E’ per un motivo prettamente finanziario. Le scuole e gli istituti scolastici, per poter sostenere le spese connesse al proprio funzionamento, come l’acquisto di materiale di consumo che serve alla vita didattica – quindi fotocopiatrici, laboratori, licenze per software per laboratori, macchinari per i laboratori e via dicendo – poggiano su dei fondi che vengono assegnati dal Ministero secondo alcuni criteri di riparto. Si tratta dei cosiddetti fondi di funzionamento, che non sempre sono sufficienti, costringendo le scuole a forzare la mano con le famiglie”.

Come si può capire dove vanno a finire i contributi delle famiglie?

“Nella sezione ‘Trasparenza’ del sito della scuola, e anche sulla piattaforma ministeriale ‘Scuola in Chiaro’, gli istituti sono chiamati a rendicontare come spendono i soldi che derivano dalle erogazioni libere delle famiglie. Inoltre l’importo stesso del contributo scolastico volontario dovrebbe essere deliberato dal Consiglio di Istituto, organo collegiale a cui partecipano rappresentanze di studenti e famiglie”.

Cosa può fare, in questi casi, una famiglia che non vuole o non può pagare?

“Di solito, quando una famiglia ha la possibilità, si consiglia di pagare perché si tratta di soldi che servono a migliorare la vita della scuola. Non servono sicuramente a garantire al preside una ‘poltrona in pelle umana’, per citare un riferimento cinematografico. Anche perché non stiamo parlando di cifre enormi, di solito stiamo intorno a una cinquantina di euro nelle scuole medie, tra gli ottanta e i cento euro nelle scuole superiori. Fanno eccezione, per via della presenza di attività di laboratorio e pratiche significative, gli istituti tecnici e professionali: qui la cifra può arrivare a superare anche i 250 euro.

Se una famiglia vuole esercitare il legittimo diritto di non versare il contributo volontario, ciò va fatto presente alla scuola, in maniera formale, mandando una pec o una raccomandata, che mostra l’intenzione di saldare solo la parte della somma strettamente legata alle spese che la famiglia è tenuta a rimborsare all’istituto. In questo modo si scorpora ciò che è dovuto da ciò che è assolutamente volontario. Un’operazione di trasparenza che sarebbe auspicabile diventasse uno standard in tutti gli istituti scolastici”.

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