lunedì, Novembre 25, 2024

A Praga “passi avanti” sull’uso delle armi contro la Russia. La Nato e i “tabù caduti” sui missili

La linea rossa immaginaria che separa l’Occidente dai cannoni di Vladimir Putin si è spostata drammaticamente negli ultimi giorni. Mutando l’apparente, granitica, posizione prudenziale della Nato. Dopo due anni e tre mesi dall’invasione dell’Ucraina, nulla o quasi sembra essere rimasto dei totem e tabù che hanno nutrito il gioco delle parti Est-Ovest. L’asticella si è abbassata a precipizio sabato scorso, con Jens Stoltenberg convinto che l’Ucraina possa usare le armi occidentali contro obiettivi in Russia. Emmanuel Macron ha rincarato martedì: è ora di autorizzare Kiev ad attaccare la Federazione, con in mano la mappa dei siti russi da colpire. Ultimo Joe Biden, che sta valutando se revocare i limiti all’uso delle armi americane a corto raggio per attaccare dentro la Russia. Parole che fanno sembrare i 25 mesi trascorsi un passato lontanissimo. Ma ecco il percorso che ha portato dagli scarsi aiuti iniziali ai missili che possono colpire la Russia. Prima: le armi anticarro. Mesi dopo l’invasione del febbraio 2022, i Paesi occidentali hanno rifornito gli ucraini di armi difensive. Stati Uniti e Regno Unito hanno inviato migliaia di missili anticarro Javelin e Nlaw, cruciali per fermare l’avanzata su Kiev. Il 5 aprile 2022 l’Armata abbandona velocemente i distretti della capitale ucraina e la guerra si concentra nell’Est del Paese. Australia, Canada, Usa e altri cominciano recapitare obici e munizioni M777.

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