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martedì, Luglio 23, 2024

Ottant’anni fa all’alba, il D-Day: lo sbarco in Normandia che cambiò le sorti della guerra

Sono le 6.30 del 6 giugno 1944, il D-Day. È un’alba plumbea sulle coste della Normandia. I soldati della guarnigione tedesca sono agitati: un po’ per quel cielo che ha il colore delle canne dei loro fucili, un po’ perché durante la notte sono successe cose strane. Da diverse località dell’entroterra, infatti, è giunta notizia che gruppi di paracadutisti alleati hanno sferrato attacchi isolati contro i bunker d’artiglieria dalle parti di S.te-Mère-Église e di Caen, e per tutta la notte gli aerei hanno sganciato tonnellate di bombe su tutta la costa settentrionale della Francia.
Ma non è l’invasione, questo è certo: il feldmaresciallo Erwin Rommel, è vero, è convinto che lo sbarco sarà proprio qui, in Normandia, e non al Passo di Calais come invece pensano von Rundtstedt (comandante del fronte occidentale) e buona parte dell’OberKommando der Wehrmacht (lo Stato maggiore dell’Esercito tedesco). Ma è anche vero che oggi il tempo è talmente brutto che nessuno penserebbe di iniziare un’invasione. E infatti la “Volpe del deserto” non c’è: ha approfittato delle condizioni meteorologiche avverse per passare un po’ di tempo con la moglie.
I soldati tedeschi si tranquillizzano: se sul campo non c’è Rommel, non ci sarà nemmeno lo sbarco alleato. Se non fosse stato certo che né oggi né domani ci sarebbe stata l’invasione, il feldmaresciallo non sarebbe tornato a Berlino a festeggiare il compleanno della moglie, facendo una puntata a Parigi per comprarle un paio di scarpe. E visto che Rommel pensa che lo sbarco non ci sarà, gli altri generali se la prendono comoda: qualcuno raggiunge l’amante nella capitale francese, qualcuno va a Rennes per “un’esercitazione” (che in realtà è un poker). Invece, all’improvviso, il cuore delle vedette di guardia nei bunker che dominano le spiagge normanne perde un colpo: all’orizzonte si stagliano centinaia, migliaia di navi da guerra. Gli ufficiali non credono ai loro occhi: non è vero, non è possibile che sia vero. Poi si riscuotono, abbaiano un paio di ordini secchi ai loro subordinati, si attaccano alla manovella dei loro telefoni da campo per chiedere l’intervento dell’artiglieria: “Sie Kommen!”, “Arrivano”, gridano nelle cornette. E intanto la flotta alleata si avvicina sempre di più: è l’invasione. Non è possibile ma è proprio così, è l’invasione. Il comandante supremo alleato, il generale Dwight Eisenhower, dando il via all’operazione Overlord proprio oggi ha giocato il tutto per tutto – compreso l’esito finale di cinque anni di guerra – sull’effetto sorpresa. Del resto, non era più possibile rinviare: le 4mila navi da guerra, i 1.500 mezzi da sbarco, i 150mila soldati della forza d’invasione erano già pronti da giorni, e fermare la più grande operazione militare della storia avrebbe significato abbandonare il progetto. Per lo meno nell’immediato.”Signori, si va” E così, sperando in quel leggero miglioramento del tempo previsto dai meteorologi dello Shaef (il comando supremo alleato), “Ike” Eisenhower dà il via al D-Day: “Signori, si va”. E inizia lo sbarco in Normandia. Alle 6.30 del 6 giugno, quando la marea è abbastanza alta da consentire agli Lcvp, i mezzi da sbarco, di scaricare gli uomini a una distanza sufficientemente ridotta dalle postazioni tedesche, ma abbastanza alta da consentire alle chiatte di non andare a infilzarsi contro le protezioni fatte predisporre da Rommel sotto il pelo dell’acqua, i 150mila soldati americani, inglesi, francesi liberi e canadesi della forza d’invasione assaltano Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword, i nomi in codice delle cinque spiagge prescelte per l’attacco. Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword Su Utah, assegnata agli americani, dirige la 4ª divisione di fanteria; su Omaha, sempre degli statunitensi, puntano la 1ª divisione di fanteria e il 115° e il 116° reggimento della 29ª divisione di fanteria; su Gold, inglese, la 50ª divisione di fanteria e il 47° reggimento Royal Marines; su Juno la 3ª divisione di fanteria canadese; su Sword la 3ª divisione di fanteria britannica e la 1ª unità commando Kieffer francese.
Inizia lo sbarco In quattro delle cinque spiagge i combattimenti, violentissimi, durano abbastanza poco: i tedeschi vengono sopraffatti quasi subito. Anche a Juno, dove i canadesi hanno avuto perdite pesantissime prima ancora di sbarcare. Ad Omaha, invece, è tutt’altra storia: i bombardamenti aerei e quelli dell’artiglieria navale sono arrivati “lunghi”, cinque chilometri all’interno, e non hanno nemmeno scalfito le postazioni della Wehrmacht. I nidi di mitragliatrici sono ancora intatti, l’artiglieria funziona. E come se non bastasse, la 716ª divisione di fanteria che difende la spiaggia e che – si sa – è formata da soldati scarsamente addestrati, all’insaputa degli alleati è stata rinforzata con la 352ª, composta da veterani. I soldati americani vengono decimati ancor prima di mettere piede sulla spiaggia: le migliaia di chiatte che li trasportano verso riva vengono martellate dall’artiglieria costiera, e anche quando non sono centrate in pieno da una granata vengono rovesciate dalla potenza dell’esplosione, o affondate dall’acqua imbarcata. E per i soldati caduti in acqua non c’è scampo: appesantiti come sono dall’equipaggiamento, vanno a fondo come sassi.
Sugli Lcvp che avanzano verso Omaha, tra i geyser d’acqua salmastra alzati dalle esplosioni e il tintinnio delle pallottole che colpiscono le fiancate corazzate del battello, c’è chi prega, chi piange, chi vomita per il mal di mare e la paura. Ma l’inferno, quello vero, questi ragazzini poco più che adolescenti arrivati dall’altra parte dell’Oceano per liberare l’Europa dal nazismo, l’inferno non hanno ancora iniziato a vederlo.
L’inferno di Omaha È quando i mezzi da sbarco arenano la loro prua sulla sabbia della Normandia che si scatena l’Apocalisse: i tedeschi sparano come dannati sulla spiaggia di Omaha, ognuna delle mitragliatrici nascoste nei bunker di cemento armato riversa sugli americani seicento pallottole al minuto. Una pioggia di fuoco che non lascia scampo. La prima ondata, fatta di soldatini della 29ª divisione che non hanno mai preso in mano un fucile prima d’ora, si risolve in una carneficina. Nel giro di dieci minuti sulla spiaggia non resta più né un capitano, né un tenente, né un sergente: sono tutti morti o feriti, così come il 90% dei soldati appena sbarcati. L’acqua di Omaha Beach si colora del sangue degli americani. Nemmeno le onde hanno pietà dei caduti e, invece di cullare quei corpi martoriati, ributtano sulla spiaggia i cadaveri straziati, braccia e gambe e teste staccate di netto dalle pallottole tedesche.

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