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mercoledì, Luglio 3, 2024

Giulia Cecchettin, Turetta: “L’ho uccisa guardandola negli occhi”

I regali rifiutati, la rabbia che sale quando capisce di averla persa, il coltello che affonda mentre lei grida ‘aiuto’ e tenta di parare i colpi. Nel racconto di Filippo Turetta traspare l’angoscia degli ultimi momenti di vita di Giulia Cecchettin, 22 anni di Vigonovo (Padova), laureanda in Ingegneria biomedica uccisa dall’ex fidanzato e compagno di studi l’11 dicembre scorso. Nel carcere di Verona, durante l’interrogatorio davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni, afferma inoltre di aver provato a suicidarsi dopo l’omicidio. Il giovane ricostruisce la serata trascorsa a fare shopping e la cena in un centro commerciale a Marghera, quindi il viaggio di ritorno con l’auto che si ferma in un parcheggio a 150 metri dalla casa di Giulia. “Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava ‘sentendo’ con un altro ragazzo” dice nel verbale il cui contenuto è stato diffuso da ‘Quarto grado’. Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando ‘Sei matto, vaffanculo, lasciami in pace'” racconta il ventiduenne al pm. “Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava ‘aiuto’ ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L’ho caricata sul sedile posteriore”. Urla che saranno sentite da un testimone, ma che non basteranno a salvare Giulia Cecchettin. Filippo Turetta guida l’auto per circa quattro chilometri: dal parcheggio in via Aldo Moro a Vigonovo verso un luogo più isolato, nella zona industriale di Fossò. “Mentre eravamo in macchina lei ha iniziato a dirmi ‘cosa stai facendo? sei pazzo? Lasciami andare’. Era sdraiata sul sedile, poi si è messa seduta. Si toccava la testa. All’inizio pensavo solo a guidare. Poi ho iniziato a strattonarla e tenerla ferma con un braccio. C’eravamo fermati in mezzo alla strada, ho provato a metterle lo scotch sulla bocca, non mi ricordo se se l’è tolto o è caduto da solo perché non l’avevo messo bene. Si dimenava. È scesa e ha iniziato a correre. Anch’io sono sceso”. Un tentativo di mettersi in salvo ripreso, in parte, da una telecamera di una ditta (inquadra Giulia alle 23.40) che prelude l’atto finale. “Avevo due coltelli nella tasca in auto dietro al sedile del guidatore. Uno l’avevo lasciato cadere a Vigonovo. Ho preso l’altro e l’ho rincorsa. Non so se l’ho spinta o è inciampata. Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia”. L’autopsia restituisce 75 coltellate e una morte per shock emorragico provocato dal colpo alla testa e dalle coltellate. “Mi ricordo che era rivolta all’insù, verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L’ultima coltellata che le ho dato era sull’occhio. Giulia era come se non ci fosse più. L’ho caricata sui sedili posteriori e siamo partiti. Avevo i vestiti abbastanza sporchi del suo sangue” ammette l’imputato che dopo essersi disfatto del corpo dell’ex fidanzata, abbandonato vicino al lago di Barcis, si arrende solo una volta arrivato in Germania dopo una fuga di sette giorni e mille chilometri.

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