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mercoledì, Luglio 3, 2024

Regno Unito domani al voto con vittoria annunciata Labour, per Tories incubo Farage

Domani, 4 luglio, gli elettori del Regno Unito sono chiamati alle urne per quella che i sondaggi da mesi descrivono come una vittoria a valanga dei laburisti, dopo 14 anni di governo dei Tories. Tanto che Rishi Sunak, primo ministro dell’ottobre del 2022 – ultimo dei cinque premier conservatori che si sono succeduti a Downing Street dall’approvazione della Brexit nel 2016 – ha fatto una campagna elettorale principalmente tesa ad esortare a non dare al Labour di Keir Starmer “l’assegno in bianco” che riceverebbe da una super maggioranza ai Comuni. Ma la misura della portata della sconfitta a cui sembra ineluttabilmente andare incontro Sunak viene data dal fatto che gli ultimi sondaggi danno i conservatori non solo indietro di 20 punti rispetto ai laburisti – il 18% contro il 38% – ma anche indietro, secondo alcuni rilevamenti, rispetto a Reform Uk, il nuovo volto, sempre populista e di estrema destra, del Brexit Party di Nigel Farage. Non è stato breve, né casuale il cammino che ha portato a questo punto il 61enne Starmer che già due anni prima di assumere, nell’aprile del 2020, la guida del partito dopo le dimissioni del leader di sinistra Jeremy Corbyn seguite ai disastrosi risultati delle elezioni del 2019, teneva regolari incontri segreti, ogni lunedì, con amici fidati e collaboratori per discutere come cambiare il Labour. Cosa che poi ha fatto senza nessuna esitazione, abbandonando l’era Corbyn, spostando nettamente l’orientamento, e la macchina, del partito al centro e affrontando in modo drastico il problema dell’antisemitismo. “Lui è istintivamente un elettore ed una persona laburista, ma non lo è in modo tribale”, ha detto a Politico una persona molto vicina a Starmer, spiegando che non ha la sua cerchia di deputati e spesso ha assunto funzionari pubblici di carriera per ruoli chiave, come la sua potente chief of staff, Sue Gray. Come leader del Labour Starmer ha promesso a elettori e leader di industria e mondo degli affari britannici una gestione affidabile della spesa pubblica e la ripresa della crescita economica. Escluso anche l’aumento delle aliquote delle tasse – tranne l’imposizione dell’Iva sulle rette delle scuole private e l’eliminazione dei “loophole” in favore di fondi e società energetiche – a fronte di stabilità economica e un miglioramento dei servizi pubblici, in particolare il servizio sanitario rendendo disponibili 40mila appuntamenti alla settimana per ridurre le liste d’attesa. Il programma laburista prevede anche l’assunzione di 6500 nuovi insegnanti e l’apertura altri 3mila nidi, la creazione di una società energetica di proprietà pubblica, Great British Energy, con la promessa di ridurre le bollette. Inoltre vengono promessi 650mila nuovi posti di lavoro nelle industrie green. Sul fronte dell’immigrazione, Starmer promette di abolire la legge dei conservatori per la deportazione dei richiedenti asilo in Ruanda, ma al contempo si impegna a combattere le reti per l’ingresso di migranti clandestini. Gli esperti fiscali, riporta il Financial Times, spiegano che qualunque sarà il partito che vincerà le elezioni dovrà scegliere tra l’aumento delle tasse o il taglio della spesa pubblica per affrontare i gravi problemi di deficit del Paese. Ed i critici di Starmer affermano che nel manifesto dei laburisti non ci sono proposte concrete per l’aumento delle entrate pubbliche. Nel Parlamento uscente i laburisti erano 206, ma secondo le recenti proiezioni nazionali del Guardian con il voto di domani potrebbero arrivare ad avere 424 dei 650 seggi dei Comuni, molto più dei 326 richiesti per avere la maggioranza. Oltre a Starmer, una figura di spicco del quindi sempre più probabile governo laburista sarà Rachel Reeves, ex economista della Bank of England, attuale cancelliere ombra dello Scacchiere. I Tories si presentano all’appuntamento elettorale di giovedì con alle spalle 14 anni di governo segnato di tensioni e caos, in un Regno Unito post Brexit segnato da disoccupazione in aumento, pensioni bloccate, diminuzione del potere d’acquisto dei salari e un netto deterioramento dei servizi pubblici. Senza contare i costi e le complicazioni dell’uscita dalla Ue che nel 2016 la maggioranza dei britannici aveva votato anche perché convinta, dai fautori della Brexit, tra i quali esponenti Tories come Boris Johnson, che questa avrebbe invece migliorato la qualità della loro vita. Dal referendum, convocato da David Cameron proprio per tentare di bloccare l’avanzata degli euroscettici anche in seno ai Tories, il partito è stato dilaniato da lotte interne, producendo il risultato di cinque primi ministri in nove anni. Sunak nei due anni di governo è riuscito a mantenere la promessa di tagliare l’inflazione, ma non quella di ridurre le liste d’attesa del servizio sanitario pubblico e di “fermare le barche” dei migranti, nonostante sia riuscito alla fine a far approvare la controversa e contestatissima legge per le deportazioni in Ruanda. Tra le promesse di Sunak in caso di una quanto mai improbabile permanenza a Downing Street, quella di tagli fiscali per 17 miliardi di sterline, promessa che si scontra appunto con le previsioni degli economisti. Per l’immigrazione, si promette di andare avanti con il piano di inviare i richiedenti asilo in Ruanda e di introdurre un tetto massimo alla concessione dei visti di lavoro e per il ricongiungimento familiare, limitando quindi anche l’immigrazione regolare. Su fronte della Difesa, Sunak, molto impegnato sul fronte degli aiuti all’Ucraina, afferma che la spesa militare arriverà al 2,5% del Pil entro il 2030 e che varerà il servizio militare obbligatorio per tutti i 18enni. Nel Parlamento uscente i conservatori avevano 345 seggi, ottenuti nel 2019 quando Johnson guidò i Tories in una netta vittoria, ma giovedì rischiano una sconfitta di portata senza precedenti, con le proiezioni dei giorni scorsi del Guardian che parlano di appena 135 seggi.

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