«Estendere le misure di reinserimento sociale, proprie dei pentiti e dei collaboratori di giustizia anche per le donne vittime di violenza in grave pericolo di vita». Perché con adeguate misure di protezione possiamo garantirle un nuovo progetto di vita. E’ la proposta, in punta di piedi, del procuratore capo della Procura di Civitavecchia Alberto Liguori per la commissione Giustizia, illustrata nel corso del convegno organizzato a Tarquinia su “Codice rosso: applicazione pratiche, uso degli strumenti informatici, profili socioculturali e prospettive di miglioramento” organizzato dal Lions Club Tarquinia (con il patrocinio del Comune di Tarquinia e della Camera penale di Civitavecchia “Attilio Bandiera”), in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Un incontro che ha aperto importanti riflessioni sul tema di alto livello. «A Tarquinia si è volato alto – ha detto il procuratore Liguori – C’è un filo rosso, c’è un comune sentire e il legislatore dovrebbe imparare ad ascoltare di più prima di legiferare. Con questo dibattito siamo passati dalla diagnosi alla terapia. Abbiamo consegnato questo tema della violenza sulle donne a vari attori, alla conoscenza tecnica del web, della musica, agli avvocati. Oggi capiamo che il legislatore ha commesso degli errori». «Pensiamo ai dati – ha detto il procuratore – : Civitavecchia lo scorso anno registrava 500 casi di violenza di genere. Pensiamo quanta violenza sta aumentando, a novembre eravamo a 800 e più, di questi, un buon 30 e 40 per cento è strumentalizzato o strumentalizzabile. Perché, portare in sede civile al giudice una relazione di servizio dei carabinieri o della Polizia di Tarquinia che registra un accesso domiciliare su una signora che denuncia che il marito è andato in escandescenza e l’ha picchiata davanti ai bambini, significa gestire il caso su due tavoli: uno del pubblico ministero e l’altro del giudice civile. Sul tavolo del pm, prima che quella denuncia viene utilizzata, viene filtrata, radiografata ed ecografizzata; in sede civile invece ci sono due soggetti che hanno sbagliato percorso, ma che non intendono separarsi per un progetto di vita nuovo ma, di solito, per mettere in campo una serie di ritorsioni. Con le riflessioni emerse da questo convegno abbiamo aperto una finestra su una serie di criticità, spesso taciuti dai media. Plaudo ai media perché fanno trasparenza, ma vorrei che i processi li facessimo noi, non in televisione, perché abbiamo anticipazioni di giudizio che poi in qualche modo minano la fiducia verso la giustizia. Nelle commissioni Giustizia si fanno audizioni stereotipate, ma noi dobbiamo capire che il tema è complesso e multidisciplinare». «I numeri ci dicono che c’è qualcosa che non ha funzionato – ha spiegato il procuratore Liguori – Oggi noi ci stiamo provando in tutti i modi e non solo il 25 novembre, ad esempio nel nostro territorio vogliamo fare un calendario del mercoledì. Se diciamo che è emergenza, dobbiamo domandarci come aiutare realmente la donna in pericolo di vita. Oggi sappiamo che una donna vittima di violenza ha diritto al reddito di libertà, ma quante donne lo sanno? Solo Dio lo sa: si tratta di 400 euro al mese. Poi sappiamo che c’è la fiscalità agevolata: una donna di 50 anni che ha il coraggio di ribellarsi al proprio aguzzino viene assunta; ci sono poi anche delle politiche di accoglienza, perché una donna ha un problema di logistica: dove va con i figli? Il progetto di vita quindi va finanziato per permettere alla donna vittima di violenza di affrancarsi dal suo aguzzino. Il punto è che si prevedono 400 euro al mese massimo per un anno a condizione che ci sia capienza nei fondi in bilancio: quindi chi tardi arriva male alloggia. Qualcuno ha pensato che in 12 mesi questa tragedia si risolve, ma non è così». Quindi la proposta finale: «Mi sono domandato: cosa prevede la legge per i testimoni e i collaboratori di giustizia? – ha detto il procuratore Liguori – Remuneriamo le sue dichiarazioni in sostanza (finanziamo 5mila persone circa, circa 65 milioni l’anno). Allora, se estendessimo questo capitolo di bilancio alla violenza di genere, faremmo qualcosa di veramente concreto. Il requisito oggettivo che la persona si trovi in grave pericolo di vita ci mette nella condizione di dire che non esiste un codice rosso che si risolve nelle aule di giustizia. Lo stato di emergenza ci indica che non è la strada giusta; allora io propongo di adottare tutte quelle misure di reinserimento sociale previste per i pentiti e i collaboratori di giustizia alle donne vittime di violenza e in grave pericolo di vita, garantendo a questa donna una nuova identità, una nuova vita, un nuovo conto corrente». Una proposta che ha trovato il favore dei presenti in un pomeriggio nel quale sono state aperte tante finestre di riflessione e analisi grazie alla moderazione dell’avvocato Paolo Pirani, e alle professionalità presenti, quale il presidente della camera penale di Civitavecchia “Attilio Bandiera”, l’avvocato Leonardo Montini Paciotta; l’esperto d’informatica forense, l’ingegnere Paolo Reale; la consigliera e tesoriera del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Civitavecchia, l’avvocata Laura Russino; il cantante del gruppo rock “Le Vibrazioni” Francesco Sarcina; il combattente professionista di arti marziali miste Alessio Di Chirico. Un incontro che ha gettato le basi dalle quali ripartire a tutti i livelli, affinché non si debba più piangere una donna vittima di violenza e perché una donna non si senta più nella impossibilità di reagire.