Sabato scorso, abbiamo assistito ad un evento che dovrebbe portare ad un’evoluzione della natura e del ruolo dei volontari archeologici, almeno all’interno del Parco Archeologico di Cerveteri. Abbiamo già raccontato come, a seguito del rapporto stabilito tra il PACT e le quattro associazioni di volontariato archeologico, le attività dei volontari sono ora regolamentate da precisi protocolli, che sono alla base di ambiziosi progetti di manutenzione, prevenzione, valorizzazione e monitoraggio della Necropoli della Banditaccia. In altre parole, i volontari archeologici non sono più semplici soggetti di ripuliture o di manutenzioni estemporanee, ma attori protagonisti in ben precisi e articolati progetti che coinvolgono il personale del Parco e il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. Che cosa è successo di nuovo sabato scorso? C’è stato un lungo incontro dei volontari delle quattro associazioni che operano nel Parco archeologico, GAR, GATC, Il Lucumone, NAAC, e l’agronomo assunto dal PACT per guidare e soprintendere le operazioni di manutenzione delle vaste aree verdi della Necropoli della Banditaccia. Un incontro che, almeno a me, ha lasciato il segno. Devo dire che si percepiva all’inizio dell’incontro una sorta di diffidenza, probabilmente reciproca. I volontari, nelle aree archeologiche, sono quasi sempre un po’ come gli immigrati che vengono da Paesi e culture lontane. Devono sempre dimostrare che non stanno rubando il lavoro a nessuno, e che sono invece una preziosa risorsa. D’altra parte, i volontari archeologici di Cerveteri faticano ancora a togliersi di dosso quello che io chiamo la “sindrome dell’usocapione”. Ma sono bastati pochi minuti per restare affascinati dalla “lezione” del giovane agronomo. È stata una lezione non sulla tecnica, ma sulla filosofia e l’approccio consapevole alla manutenzione del verde. “…Esiste un equilibrio che la Natura raggiunge in un determinato posto, in un determinato momento”. Le piante che vediamo in una determinata area, grande o piccola che sia, le loro dimensioni e la loro disposizione, non sono casuali. Sono il risultato di un ben preciso equilibrio che è stato raggiunto, e di cui noi dobbiamo prendere consapevolezza, e capirlo bene, prima di iniziare a tagliare il verde che a noi pare solo infestante, e senza una precisa gerarchia di valore e di necessità. L’agronomo ha poi continuato: “…Non bisogna avere fretta nell’iniziare e finire le attività di ripulitura del verde”. Bisogna prima riconoscere che tipo di equilibrio naturale c’è in quel momento, e riconoscere le piante e le erbe che andremo a tagliare. “…È veramente necessario tagliare questa pianta, o questo prato di erbe varie? Che succede se le taglio? Che succede se non le taglio? È un’area di passaggio per i visitatori, o si può lasciare senza troppa manutenzione?”. Queste sono solo alcune delle domande preliminari che l’agronomo ci ha chiesto di farci prima di iniziare qualsiasi attività di ripulitura, grande o piccola che sia. Più due ore di “lezione” volate in un attimo. Una sola dimostrazione “tecnica”, su come si può tagliare l’erba un po’ più alta, anche usando un decespugliatore. Concludendo, sono stati messi a disposizione dei volontari archeologici che operano all’interno del Parco di Cerveteri, due potenti strumenti per affrontare il delicato compito della manutenzione del verde che circonda o ricopre i monumenti archeologici: i protocolli operativi redatti dal Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino in collaborazione con i funzionari del PACT, e questa nuovo approccio nei confronti della vegetazione che ha cercato di instillarci il giovane agronomo.