Giornata di caos a Seul, con il presidente Yoon Suk-yeol che prima ha dichiarato la legge marziale per poi fare marcia indietro poche ore dopo di fronte alle proteste di piazza e all’opposizione unanime del Parlamento. Oltre che, probabilmente, alle pressioni dell’alleato americano. Il governo, dopo aver formalmente revocato la misura d’emergena, ha ritirato il personale militare che era stato dispiegato. Gioia dei manifestanti sudcoreani in piazza che hanno festeggiato il dietrofront. Il principale sindacato della Corea del Sud ha indetto uno “sciopero generale” fino alle dimissioni del presidente Yoon.
Il partito Democratico presenterà le accuse di insurrezione contro il presidente sudcoreano e altri funzionari. “Presenteremo le accuse di insurrezione” contro Yoon, i ministri di Difesa e Interni, e “figure chiave di esercito e polizia coinvolte, come il comandante della legge marziale e il capo della polizia”. Secondo i media di Seul, inoltre, sei partiti di opposizione hanno deciso di accelerare il passo per la messa in stato d’accusa di Yoon con il deposito della mozione di impeachment in Parlamento e la sua votazione è ritenuta possibile “entro fine settimana”.
Han Dong-hun, capo del People Power Party dello stesso Yoon, ha chiesto invece il licenziamento del ministro della Difesa e le dimissioni dell’intero governo. Mentre, a differenza delle anticipazioni dei media, “nulla è stato deciso” su Yoon.
Intanto i collaboratori più stretti del presidente hanno offerto le dimissioni, ha riferito l’agenzia Yonhap, senza fornire dettagli. Yoon, nel frattempo, ha rinviato quella che sarebbe dovuta essere la sua prima apparizione pubblica dopo le turbolenze notturne: il meeting alle 10 locali in programma presso l’ufficio presidenziale dedicato alla lotta alle droghe. La Corea del Sud era ripiombata nell’atmosfera sinistra dei militari per le strade quando Yoon, in un sorprendente e inatteso discorso serale alla nazione, aveva proclamato la legge d’emergenza accusando proprio il Parlamento, controllato dalle opposizioni, di simpatizzare con il Nord comunista e di paralizzare volutamente l’azione del governo. “Sradicherò le forze filo-nordcoreane e proteggerò l’ordine democratico costituzionale”, aveva annunciato il presidente invitando i cittadini a sopportare “alcuni inconvenienti” per il bene della stabilità nazionale: “Attraverso questa legge marziale, ricostruirò e proteggerò la libera Repubblica di Corea”.
Uno shock per un Paese riemerso a fatica dagli anni bui e sanguinosi della dittatura militare con la celebrazione nel 1988 dei Giochi Olimpici estivi di Seul, ma che poi è riuscito a imporre il soft power del suo dinamico modello democratico al mondo con l’irresistibile K-pop (in vetta a Billboard), i film da premi Oscar (‘Parasite’, prima pellicola straniera a vincere nel concorso generale) e da ultimo il Nobel 2024 per la Letteratura assegnato alla scrittrice Han Kang.
La reazione infatti non si è fatta attendere: migliaia di persone hanno subito manifestato intorno all’Assemblea nazionale, resistendo con scontri all’ingresso delle truppe. Il Parlamento di Seul ha respinto all’unanimità la legge marziale con una risoluzione che ne chiedeva “l’immediata abolizione”, approvata dai 190 deputati presenti sui 300 totali. Un voto che ha spinto le truppe a lasciare l’edificio e lanciato la sfida al capo dell’esercito Park An-su, che appena nominato comandante della legge marziale ha emanato un decreto per bandire le attività parlamentari e dei partiti politici, abolire le manifestazioni e mettere sotto controllo i media.
“Coloro che violano la legge marziale possono essere arrestati o perquisiti senza mandato”, si intimava nel decreto. A dispetto di mesi di scontri, da ultimo quello aspro sul budget per il 2025, maggioranza e opposizione si sono trovate unite nel condannare la svolta autoritaria. Il leader del People Power Party Han Dong-hoon, lo stesso del presidente Yoon e al potere, ha descritto la mossa come “sbagliata” e giurato di opporsi insieme al popolo sudcoreano.