“Ero sicura di stare dentro molto di più perché così era stato per le altre”. E’ il racconto della veloce operazione di salvataggio, la più rapida degli anni 80 in Iran. Così la descrive Cecilia Sala, incredula finché non ha visto un volto di un italiano in aeroporto. La detenzione, gli interrogatori, fino a dieci ore per farla crollare. “Sei sempre solo anche quando non sei solo, cioè anche quando qualcuno ti interroga, sei incappucciato faccia al muro e la persona ti fa le domande”. Ventuno giorni tra il silenzio della sua cella nel carcere di Evin e i rumori provenienti dalla fessura i pianti delle altre, di chi prende la rincorsa per sbattere la testa e farsi male, nel racconto a Fabio Fazio. “Avevo paura per i miei nervi se fossi rimasta in isolamento”. E poi un altro timore. Io sapevo che c’era un conto alla rovescia, che era l’insediamento di Trump, che mi spaventava. La preoccupazione che i rapporti tra Iran e Israele sfociassero in guerra aperta e che si acuissero le tensioni tra Iran e Stati Uniti, rivela, porta e il suo compagno a contattare Andrea Stroppa, l’uomo di Musk in Italia, affinché lo informasse della sua situazione. E’ informato, dice Cecilia, sarà la risposta. Ora, da libera, la paura per le altre iraniane in cella. Il primo nome che pronuncia è quello dell’attivista kurda Pakshan Azizi. E il sorriso nel giorno del cessate il fuoco a Gaza, alla notizia di un’altra liberazione, quella degli ostaggi e dei prigionieri palestinesi.