Una conta infinita di morti civili, tra cui donne e bambini, una giostra infernale di nomi di villaggi alawiti, sulla costa siriana e sulle rive dell’Oronte, dove i corpi degli uccisi sono rimasti a lungo per le strade e dove le case hanno bruciato dopo il passaggio di miliziani sunniti, siriani ma anche stranieri. Dei paesi occidentali e arabi solo la Francia ha condannato le violenze contro gli alawiti siriani. L’Osservatorio per i diritti umani in Siria, che opera da quasi 20 anni nella documentazione delle violazioni nel paese, ha finora contato da giovedì scorso l’uccisione sommaria – da parte delle forze di sicurezza del nuovo leader Jolani – casa per casa, di 745 civili alawiti, branca dello sciismo identificata da decenni col potere dell’ex regime della famiglia Assad, dissoltosi lo scorso 8 dicembre. Il bilancio è in continuo aggiornamento, mentre arrivano dalle varie località colpite i necrologi delle famiglie sterminate, assieme alle numerose foto di corpi scomposti – la cui autenticità è stata verificata incrociando diverse testimonianze sul terreno – e senza vita di uomini, donne e bambini, riversi a terra, sui divani, sui letti, con fori di arma da fuoco al capo, al ventre, al petto. La Rete siriana per i diritti umani, da alcuni considerata vicina al nuovo governo guidato da Jolani, fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts), ha riferito di oltre 120 militari governativi uccisi da membri dell’ex regime degli Assad. Tutto è cominciato giovedì scorso, con un agguato da parte dei miliziani alawiti, indicati come “membri dell’ex regime”, contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Jabla, a sud di Latakia, principale porto siriano. L’uccisione di 14 armati governativi e gli attacchi sferrati da altre cellule dell’ex regime nella regione di Latakia e a Baniyas anche contro civili sunniti (la Rete siriana ha contato 26 civili sunniti uccisi) ha innescato una spirale di violenza, da troppo tempo, decenni in molti casi, rimasta sotto le ceneri di un paese sempre più segnato dall’odio inter-comunitario.
Il presidente è intervenuto ieri sera con un discorso pubblico, di fatto a sostegno delle uccisioni in corso. Jolani ha minacciato “i membri dell’ex regime” di arrendersi senza però condannare le violazioni dei miliziani fino a poche settimane ai suoi ordini. Tra questi, come dimostrano diverse testimonianze, foto e filmati, ci sono combattenti caucasici, dell’Asia Centrale e della Cina, rimasti negli ultimi tre mesi sulle montagne tra le regioni di Idlib e quella di Latakia. Gran parte delle uccisioni sommarie avvenute nelle case, per le strade, negli oliveti e nei campi di grano della zona costiera e a ovest di Hama sono state compiute tra venerdì e sabato mattina. Nel pomeriggio, i media governativi hanno riferito di una situazione “gradualmente sotto controllo”. Il ministero della difesa di Damasco ha diffuso un comunicato invitando “la cittadinanza a tornare alle proprie case… non c’è ragione di essere preoccupati”, ha detto un portavoce del ministero mentre altri video choc provenivano dai teatri dei massacri.
Baniyas, cittadina costiera mista alawita, sunnita e cristiana, già luogo di un’eccidio di oltre 100 persone nel 2013 per mano delle forze di Assad, è stata una delle località più colpite nelle ultime ore: miliziani locali, sunniti, molti dei quali familiari delle vittime del massacro di 12 anni fa, sono entrati casa per casa nei quartieri di Qusur, Ras Nabaa e Ayn al Arus, uccidendo “chi non è potuto scappare”. “Quello di bruciato è un buon odore!”, dice un miliziano, ridacchiando mentre riprende col suo cellulare la via di un quartiere colpito, ora spopolato e dove si levano colonne di fumo dagli scantinati. Qui decine di miliziani portano via tutto quello che possono dalle case violate. “Abbiamo fatto bene…”, dice un altro miliziano. “Questa gente capisce solo questo!”.
In Siria è massacro di alawiti, bambini tra le vittime
