Svolta nel caso della morte di Andrea Prospero, il 19enne trovato senza vita nell’appartamento in via del Prospetto a Perugia lo scorso 29 gennaio, dopo 5 giorni di ricerche. La Procura ha emesso una ordinanza cautelare degli arresti domiciliari a carico di un giovane, residente nella provincia di Roma, con l’accusa di istigazione o aiuto al suicidio. Andrea Prospero, originario di Lanciano, in provincia di Chieti, era uno studente universitario fuorisede, iscritto al corso di Informatica dell’Università degli Studi di Perugia, città dove studiava assieme alla sorella gemella Anna: era stata lei a dare l’allarme della scomparsa quando il fratello non aveva risposto alle sue chiamate. Durante la conferenza stampa del procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, ha illustrato il primo tassello dell’indagine che ha portato all’arresto del giovane romano: “Più che istigato, il giovane ai domiciliari, avrebbe aiutato il povero Prospero al suicidio”. Un’istigazione virtuale quindi, considerando che i due non si sarebbero mai incontrati personalmente. “Questa storia è l’esempio di come si possa incorrere nella trappola virtuale”, racconta la Polizia Postale. Il dottor Petrazzini che ha effettuato le indagini. “Senza il reperimento degli apparati tecnologici di Prospero non sarebbe stato possibile risalire ai fatti. Ci troviamo di fronte a una vicenda che si muove nella realtà virtuale che purtroppo ha portato i suoi effetti nella realtà”. Ha aggiunto il procuratore aggiunto di Perugia, Giuseppe Petrazzini. “La realtà virtuale coinvolge le persone anche senza che queste si siano mai incontrate, con un pericolo per la sicurezza pubblica e per sicurezza personale. Devo fare un plauso alla polizia Postale che dall’analisi degli apparati informatici, ha permesso l’arrivo ai risultati di oggi”. “In due mesi e quindi in tempi abbastanza brevi riteniamo di avere individuato il possibile autore dell’aiuto al suicidio. Anche se ovviamente vale la presunzione di innocenza”: lo ha detto il procuratore di Perugia Raffaele Cantone a margine della conferenza stampa in questura nella quale è stato fatto il punto sulle indagini relative alla morte dello studente universitario Andrea Prospero. “Un’indagine complicata – ha spiegato Cantone – tutta fatta utilizzando i dati presenti sui cellulari e gli apparati informatici. Solo il primo tassello. L’indagine deve infatti continuare per comprendere poi tutta una serie di questioni che riguardano la presenza delle sim e di più cellulari. E soprattutto perché c’era l’utilizzo di questo appartamento da parte di un ragazzo che non sembrava non averne ragioni”. C’è un altro indagato, per cessione di un medicinale di tipo oppiaceo. Ha specificato il procuratore Cantone. “Stamani è stata eseguita una perquisizione in Campania – ha spiegato il magistrato – nei confronti di un giovane che riteniamo essere colui che ha venduto il medicinale. Non risponde dello stesso reato (istigazione o aiuto al suicidio -ndr) perché lui non era in grado ovviamente di conoscere la ragione per la quale Prospero lo ha utilizzato”. La scomparsa del 19enne era stata denunciata il 24 gennaio dalla sorella, anche lei iscritta all’Università di Perugia. Il giovane, studente fuori sede al primo anno di Informatica, aveva fatto perdere traccia di sé a breve distanza temporale dalla sua uscita da un ostello dove alloggiava, avvenuta intorno alle ore 10 e mezza della mattina del medesimo giorno. È stato poi il gestore dell’appartamento in cui è stato rinvenuto il cadavere del 19enne che, non riuscendo a mettersi in contatto con l’affittuario per discutere del pagamento del canone di locazione e avendo appreso dai social network la notizia di un ragazzo scomparso a Perugia, ha deciso di contattare nel pomeriggio del 29 gennaio la Polizia di Stato, temendo si trattasse della stessa persona e consentendo così agli agenti di trovare il corpo senza vita del giovane. All’interno del monolocale, durante il sopralluogo dei poliziotti e degli operatori del Gabinetto Provinciale di Polizia Scientifica, sono stati rinvenuti alcuni blister, anche vuoti, di farmaci del tipo oppiacei, un pc portatile, 5 telefoni cellulari e 46 sim-card. La stanza si presentava in ordine e sul corpo del ragazzo non vi erano segni di ferite, circostanze che, già dal primo esame compiuto dal medico legale, portavano a far presumere che la morte potesse essere ascrivibile ad un gesto volontario. L’essere, però, sconosciuto alla sorella e ai familiari l’affitto del monolocale ed inspiegabili la presenza di più cellulari e schede telefoniche erano fatti che rendevano necessario l’avvio di un’indagine per avere riscontro non solo sulle cause della morte ma sul contesto in cui l’evento si era verificato. Le dichiarazioni testimoniali assunte da familiari e conoscenti, infatti, non permettevano di trovare una plausibile spiegazione sul perché un giovane apparentemente tranquillo e senza particolari problemi potesse aver celato tali circostanze riguardanti la sua vita privata. Con il costante coordinamento di questo Ufficio, la Squadra Mobile e il C.O.S.C. Polizia Postale e delle Comunicazioni Umbria hanno, quindi, concentrato l’attività investigativa sull’analisi degli apparati telefonici e informatici in uso al 19enne, delle celle agganciate, dei tabulati delle conversazioni e delle comunicazioni che quest’ultimo aveva avuto in alcune chat o canali di cui era un attivo utilizzatore. Si è trattato di un’indagine molto complessa, anche perché gran parte degli strumenti informatici erano dotati di password e nessun documento conteneva elementi per svelare i dati di accesso. Grazie alla particolare competenza della polizia giudiziaria delegata è stato, però, possibile accedere agli strumenti informatici ed assumere da essi informazioni fondamentali per ricostruire i rapporti che il giovane intratteneva con altre persone e soprattutto per comprendere come sia avvenuto l’evento morte. L’ansia per l’università, il pensiero di togliersi la vita e gli incoraggiamenti via chat
È emerso che la vittima, molto attenta alla propria privacy, sia nella vita reale che in rete, aveva rapporti con vari interlocutori in rete e soprattutto ne avevo stretto uno maggiormente confidenziale con un interlocutore al quale aveva confidato i suoi problemi, le sue ansie ed insofferenze rispetto alla vita universitaria e il pensiero di togliersi la vita. L’esame particolarmente approfondito dei contatti con questo soggetto, che utilizza più di un nick name, ha consentito di accertare che il 19enne aveva chiesto al suo amico virtuale consigli in merito alla scelta del mezzo più idoneo, più indolore per compiere quel gesto estremo, venendo più volte incitato e incoraggiato dall’indagato a farlo. Le chat estrapolate dal lavoro certosino della polizia, particolarmente esplicite nella loro drammaticità, hanno fornito elementi gravemente indiziari sul fatto che possa essere stato proprio il suo interlocutore virtuale a confortare la scelta del 19enne di compiere il gesto mediante l’ingestione di farmaci, incoraggiandolo e rassicurandolo anche sul fatto che utilizzando gli oppiacei non avrebbe sentito nessun dolore ma piacere. A quel punto, la vittima, dopo essersi informata con alcuni contatti “Telegram” sulle modalità di acquisto e spedizione, era riuscita ad acquistare il farmaco da un altro utente della chat, facendosi spedire il tutto in un locker inpost (punto di ritiro e giacenza pacchi). Il 19enne il giorno 24 gennaio si era quindi recato presso l’appartamento da lui preso in affitto, in via del Prospetto, dove, nella stanza virtuale e attraverso un colloquio intercorso su una piattaforma informatica proprio nella fase immediatamente precedente l’ingestione dei farmaci, aveva manifestato all’amico di non aver il coraggio di compiere il gesto, chiedendogli quindi un ulteriore incoraggiamento, ricevuto dall’indagato, che gli aveva fatto superare la paura inducendolo a ingerire i farmaci e a togliersi la vita
Prospero caduto in una trappola virtuale. Arrestato 18enne: “Incoraggiato via chat al suicidio”
