sabato, Aprile 12, 2025

Morto l’ex bandito Graziano Mesina, ieri era stata accolta l’istanza di differimento della pena

E’ morto all’età di 83 anni Graziano Mesina che proprio ieri era stato scarcerato dopo che era stata accolta l’istanza di differimento pena per motivi di salute presentata al tribunale di sorveglianza di Milano dalle avvocate, Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier. L’ex primula rossa del banditismo sardo si trovava nel reparto di Pp San Paolo di Milano dove era stato trasferito dal carcere di Opera nel quale era detenuto da due anni. Graziano Mesina aveva appena ottenuto dal tribunale di sorveglianza di Milano i domiciliari per gravi motivi di salute: era affetto da una patologia oncologica incurabile, in fase terminale. Dal dicembre del 2021 era in carcere per scontare 24 anni ricalcolati sulla condanna a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, dopo avere passato un anno e mezzo in latitanza ed essere stato catturato a Desulo (Nuoro). Era stato prima nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, poi da due anni rinchiuso in quello milanese di Opera, ma già un anno dopo la sua reclusione Graziano Mesina aveva iniziato a stare male. Dal marzo 2023 sono state sette le istanze presentate dalle avvocate Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier, che lo hanno assistito per chiedere che potesse scontare la pena in una struttura adeguata. Ieri, dopo l’ultima richiesta depositata, il tribunale di sorveglianza di Milano aveva concesso il differimento pena per motivi di salute.

Una vita tormentata

Penultimo degli undici figli, sei fratelli e cinque sorelle, del pastore orgolese Pasquale Mesina e di Caterina Pinna, Gratzianeddu, questo è il suo soprannome, è noto anche come la primula rossa del banditismo sardo. In quarta elementare, racconta Mesina nella sua autobiografia, prese a pietrate il maestro e dovette lasciare la scuola per andare in campagna come servo pastore, come già i fratelli. Mesina subisce il primo arresto nel 1956 all’età di 14 anni per porto d’armi abusivo essendo stato trovato in possesso di un fucile calibro 16 rubato; secondo un quotidiano questa prima vicenda si chiude con il perdono giudiziale, secondo Mesina stesso invece fu condannato a cinque anni con due anni di perdono giudiziale. Nel maggio del 1960 venne arrestato nuovamente per aver sparato in luogo pubblico. Portato nella caserma dei Carabinieri, riuscì a evadere dopo aver forzato la porta della camera di sicurezza. Dopo una breve latitanza sulle montagne intorno a Orgosolo, si costituì per le insistenze della famiglia e del suo avvocato. Venne condannato a sei mesi di reclusione per l’evasione a cui si aggiunse un mese per il possesso della pistola e portato nel carcere di Nuoro. Nel luglio dello stesso anno, mentre Mesina era ancora in carcere, viene rapito e poi ucciso Pietrino Crasta, commerciante di Berchidda. Una lettera anonima alla questura segnalò che in località Lenardeddu, ove si trovava un terreno per il pascolo preso in affitto dai fratelli di Graziano Mesina, si sarebbe potuto trovare il cadavere di Crasta. L’11 luglio il cadavere vi viene effettivamente trovato. I fratelli di Graziano Mesina (Giovanni, Pietro e Nicola) e alcuni vicini di pascolo vengono arrestati come responsabili del delitto. Il fratello Antonio, invece, riuscì a darsi latitante, e raccolse nel frattempo elementi probanti l’innocenza sua e dei fratelli. Nel gennaio del 1961 Graziano Mesina venne scarcerato. Il 24 dicembre dello stesso anno, in un bar di Orgosolo, il pastore Luigi Mereu, zio di uno degli accusatori dei Mesina nella vicenda Crasta, venne colpito da alcuni colpi di pistola e ferito gravemente. Secondo i Mesina, Mereu avrebbe cercato di “incastrarli” nella vicenda. Per il fatto venne accusato e arrestato Graziano Mesina, poi condannato a sedici anni di reclusione; l’interessato si proclama innocente, dichiarando che non c’erano prove. Venne rinchiuso nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, mentre il 12 luglio del 1962, i fratelli Giovanni, Nicola e Pietro Mesina vengono prosciolti, dopo due anni di carcere preventivo. Dal carcere di Nuoro fu inviato al Tribunale di Sassari per rispondere di un tentato omicidio ai danni di un vicino di pascolo, vicenda avvenuta tempo prima nelle campagne di Ozieri; qui il confinante gli aveva ucciso la cagna Meruledda, custode del gregge, sulle prime si era giustificato dicendo di averla scambiata per una volpe, ma in seguito cambiò versione sostenendo che gli avesse rubato dell’uva. Mesina allora squartò il cane per vedere se avesse mangiato uva, ma non se ne trovò, quindi lo malmenò. In seguito la vicenda divenne il soggetto di una canzone di Franco Trincale. Durante il trasferimento per il conseguente processo, riuscì a liberarsi dalle manette. Alla stazione di Macomer, saltò dal treno e scappò, ma fu catturato poco dopo da alcuni ferrovieri. Il 6 settembre riuscì a evadere dopo essersi fatto ricoverare nell’ospedale San Francesco di Nuoro, scavalcando il davanzale di una finestra e calandosi lungo un tubo dell’acqua nel quale rimase nascosto per tre giorni. Rimase in montagna latitante per tre mesi. Alla fine del mese di ottobre, il fratello Giovanni detto “Dannargiu” venne ucciso, e il suo corpo viene messo in segno di sfregio accanto a quello del suo acerrimo nemico Salvatore Mattu, anche lui assassinato. Mesina, nel tentativo di vendicare il fratello, la notte del 13 novembre 1962 entrò in un bar, e secondo quanto dichiarato dall’avvocato sparò e uccise a colpi di mitra Andrea Muscau che secondo lui era responsabile della morte del fratello ma che in realtà non lo era. Venne nuovamente arrestato e condannato per omicidio a 24 anni di reclusione. Nel gennaio del 1963 tenta l’evasione dal carcere di Nuoro, ma viene scoperto. Dopo un periodo nel carcere di Alghero, viene trasferito nel carcere di Porto Azzurro. Nell’estate del 1964 Mesina è atteso a un processo in Sardegna. Tentò la fuga da una toilette del treno in corsa, ma venne catturato poco dopo. Secondo quanto detto dallo stesso Mesina, in realtà si consegnò spontaneamente per non creare problemi al carabiniere che lo aveva in consegna. Venne trasferito a Volterra dove si finse pazzo e riuscì a essere ricoverato nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Anche qui progettò la fuga, ma senza fortuna. Verso la fine del 1964 venne ancora trasferito, questa volta a Viterbo, dove nuovamente tentò di evadere e perciò venne trasferito a Spoleto. Anche a Spoleto tentò la fuga, ma venne scoperto. Nel 1965 è nel penitenziario di Procida dove rimase per tre mesi prima di esser ricondotto a Porto Azzurro. Trasferito a Sassari per un processo, tentò di aprire un buco nel pavimento del treno, ma non riuscì a fuggire. L’11 settembre del 1966, mentre scontava la reclusione nel carcere San Sebastiano, riuscì a compiere una delle sue più famose evasioni. Insieme al compagno di prigionia Miguel Atienza (si scoprirà in seguito che il vero nome è Miguel Alberto Asencio Prados Ponte), un giovane spagnolo disertore della Legione straniera che, fuggito dalla Corsica, arrivò in Sardegna e venne arrestato a Cagliari per furto di automobile, riuscirono a fuggire scalando il muro del carcere alto 7 metri e gettandosi sotto nella centrale via Roma di Sassari. Una volta fuori dal carcere si fecero portare da un taxi a Ozieri, dando inizio alla lunga attività criminale della coppia. Nella zona di Golfo Aranci rapirono il proprietario terriero Paolo Mossa. Successivamente Mossa venne liberato dopo la promessa che avrebbe pagato il riscatto. L’11 maggio 1967, a Nuoro, travestiti da poliziotti, finsero un blocco stradale e rapirono Peppino Capelli, un grosso commerciante di carni. L’ostaggio venne rilasciato dopo che la famiglia versò come riscatto 18 milioni di lire. Alla coppia furono attribuiti molti sequestri: Campus, Petretto, Moralis, Canetto, Papandrea.

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