A Gaza la popolazione cristiana si è ridotta da 4.200 persone, prima che Hamas prendesse il controllo dell’area, a meno di 1.000 persone nell’ottobre 2023. Il rapporto spiega che alla base del calo della popolazione cristiana ci sono la discriminazione religiosa e legale, la profanazione dei luoghi sacri e l’esclusione sociale. La città di Betlemme viene portata come un esempio eclatante di ciò che il Jerusalem Center definisce “cancellazione demografica dei cristiani”. Nel 1950, Betlemme e i villaggi circostanti avevano una popolazione cristiana all’86%. Questa percentuale è costantemente diminuita dal 1994, quando l’Autorità Palestinese ha preso il controllo della città. L’ultimo censimento del 2017 ha registrato che Betlemme era composta solo per il 10% da famiglie cristiane, ma dopo quell’anno molte altre se ne sono andate, o se ne stanno andando, a causa delle difficoltà socio-economiche sistemiche e dell’instabilità, della discriminazione e di molestie, anche nei confronti del clero cristiano, a opera di palestinesi musulmani e dell’Autorità Palestinese dominata dall’Islam. Betlemme è anche un esempio di conversione forzata dei cristiani all’Islam, un fenomeno di cui il vescovo di Gaza, Alexios, aveva messo in guardia nel 2016. “I cristiani che si sono convertiti all’Islam lo hanno fatto sotto minacce e violenze”, aveva denunciato all’epoca. “L’esodo di massa dei cristiani rischia di minare la sopravvivenza stessa del cristianesimo nel suo luogo di nascita” sottolinea il rapporto. Nell’inchiesta sull’uccisione di 15 operatori umanitari a Rafah il mese scorso, le forze armate israeliane hanno ammesso errori ma hanno negato che ci sia stato un “fuoco indiscriminato” contro i mezzi di soccorso e hanno sostenuto che alcune delle vittime erano militanti di Hamas. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha denunciato il rapporto definendolo “pieno di bugie” mentre per Jonathan Whittall, capo dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari in Cisgiordania e Gaza, “la mancanza di una reale assunzione di responsabilità mina il diritto internazionale e rende il mondo un posto più pericoloso”. Nella notte del 23 marzo, pochi giorni dopo la rottura della tregua e la ripresa delle operazioni militari da parte di Israele nella Striscia, 15 operatori umanitari sono stati uccisi mentre rispondevano a chiamate di soccorso nel quartiere di Tal al-Sultan a Rafah. Tra di loro c’erano otto medici della Mezzaluna Rossa, più sei membri dell’agenzia di Difesa civile di Gaza e un dipendente dell’Unrwa. I loro corpi erano stati seppelliti sotto la sabbia insieme ai mezzi distrutti e recuperati una settimana dopo. Le autorità mediche palestinesi avevano sollevato il sospetto che alcuni di loro fossero ancora vivi quando si erano avvicinati i soldati israeliani ai mezzi e che potessero essere stati giustiziati. L’incidente ha suscitato un coro di condanne e proteste e la richiesta di “un’indagine rapida e approfondita” è stata avanzata dall’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, insieme a Germania e Regno Unito. La prima ricostruzione israeliana sulla vicenda è stata successivamente smentita da un video girato da un operatore umanitario. Lo stato israeliano ha annullato i visti d’ingresso a 27 parlamentari francesi di sinistra due giorni prima della loro partenza per una visita in Israele e nei territori palestinesi. È quanto riporta il The Times of Israel. Solo pochi giorni fa – precisa il quotidiano online – Israele aveva impedito a due parlamentari britannici, appartenenti al partito laburista al governo, di entrare nel Paese. Il Ministero degli interni israeliano afferma che i visti per i 27 sono stati annullati in base a una legge che consente alle autorità di escludere dal territorio persone che potrebbero agire contro lo stato di Israele.