Con il dilagare delle varianti del virus Sars-CoV-2, a partire da quella cosiddetta UK responsabile ormai di oltre il 50% dei casi di infezione a livello nazionale, arrivano nuove indicazioni per la prevenzione ed il contenimento. A partire dall’aumento del distanziamento fisico a 2 metri, quando possibile, e l’utilizzo di test ‘multi-geni’ per identificare le mutazioni. Ma anche alla quarantena per i vaccinati, se ‘contatto stretto’ e a prescindere se con una o due dosi. Le raccomandazioni sono contenute in un nuovo rapporto redatto da Inail, Iss, Aifa e Ministero della Salute. Per il distanziamento fisico, è l’indicazione del Rapporto ‘Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da Sars-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione’, un metro rimane la distanza minima da adottare ma sarebbe opportuno aumentarla “fino a due metri, laddove possibile e specie in tutte le situazioni in cui venga rimossa la protezione respiratoria come, ad esempio, in occasione del consumo di bevande e cibo”. “Non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure”. Si evidenzia che anche chi è vaccinato contro Sars-CoV-2, dopo un’esposizione ad alto rischio con un caso Covid “deve adottare le stesse indicazioni preventive valide per una persona non sottoposta a vaccinazione, a prescindere dal tipo di vaccino ricevuto, dal numero di dosi e dal tempo intercorso dalla vaccinazione”. Il vaccinato considerato ‘contatto stretto’ deve osservare, purché sempre asintomatico, 10 giorni di quarantena dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo al decimo giorno o 14 giorni dall’ultima esposizione. I contatti stretti di un caso di Covid-19, invece, possono essere vaccinati ma “dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni prima di potere essere sottoposti a vaccinazione”. Per garantire la diagnosi d’infezione sostenuta da varianti virali con mutazioni nella proteina Spike “i test diagnostici molecolari real-time PCR devono essere multi-target”, ovvero capaci di rilevare più geni del virus e non solo il gene spike (S) che potrebbe dare risultati negativi in caso di variante. Le persone con pregressa infezione da Sars-CoV-2 confermata da test molecolare, indipendentemente se con Covid-19 sintomatico o meno, “dovrebbero essere vaccinate”. “È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dall’infezione e entro i 6 mesi dalla stessa”. Fanno eccezione le persone con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, che, anche se con pregressa infezione da Sars-CoV-2, “devono essere vaccinate quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi”. Anche i soggetti vaccinati, avverte inoltre il Rapporto, “seppur con rischio ridotto, possono andare incontro a infezione da Sars-CoV-2 poiché nessun vaccino è efficace al 100% e la risposta immunitaria alla vaccinazione può variare da soggetto a soggetto. Inoltre, la durata della protezione non è stata ancora definita”. Il rischio di reinfezione da Sars-CoV-2, si sottolinea, è stato valutato in uno studio multicentrico condotto su oltre 6.600 operatori sanitari nel Regno Unito. I risultati mostrano che “nei soggetti con pregressa infezione da Sars-CoV-2 la probabilità di reinfezione sintomatica o asintomatica è ridotta dell’83%”. Inoltre, nei soggetti con pregressa infezione da Sars-CoV-2 “la durata dell’effetto protettivo dell’infezione precedente ha una mediana di 5 mesi”. Una persona, si spiega nel documento, “può infettarsi nei giorni immediatamente successivi alla vaccinazione, in quanto l’organismo necessita di un tempo minimo per sviluppare una completa risposta immunitaria protettiva. Nella maggioranza della popolazione vaccinata, la prima dose di vaccino evoca un’iniziale risposta immunitaria che conferisce una protezione solo parziale”. Questa inizia, a seconda del tipo di vaccino, per quelli a mRNA dopo circa 2 settimane dalla prima dose, mentre per il vaccino AstraZeneca la protezione inizia da circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose. Per tutti i vaccini al momento in uso in Italia “è necessaria la somministrazione della seconda dose di vaccino al fine di ottenere una protezione ottimale”. Una persona, al momento della vaccinazione, chiarisce inoltre il rapporto, “potrebbe essersi già infettata con Sars-CoV-2 e trovarsi senza saperlo in fase di incubazione. In questi casi, l’infezione può manifestarsi dopo la vaccinazione e prima dello sviluppo di una risposta protettiva completa”. Il Ministero della Salute raccomanda di sequenziare i campioni positivi di individui vaccinati anti-Covid-19 al fine di verificare l’eventuale occorrenza di un’infezione da nuova variante virale.