In Iran negli ultimi mesi a Qom, una delle principali città religiose del Paese, centinaia di bambine sono state avvelenate nelle loro scuola in “modo intenzionale”, come ammette il viceministro della Salute. L’obiettivo era quello di chiudere le scuole femminili. Fonti sanitarie e del governo, ma anche media locali e internazionali, hanno rivelato i contorni, che restano poco chiari, di una raccapricciante vicenda che mette però in luce ancora una volta la brutalità delle autorità, intente a reprimere nel sangue il dissenso e a porre un bavaglio alle donne.
Scuole “centri” dell’opposizione politica al regime
La città di Qom, teatro della vicenda, è centro per eccellenza di studi sciiti. Guarda caso sono proprio le scuole e le università i luoghi in cui si forma l’opposizione politica al regime, che le autorità conservatrici temono di più e che puntano a chiudere, quasi a replicare l’esempio del vicino Afghanistan che, sotto i talebani, ha vietato l’istruzione femminile.
Il 14 febbraio presidio dei genitori
Dalla fine di novembre, i media locali hanno riportato casi di avvelenamento respiratorio di centinaia di bambine di circa 10 anni nelle scuole della città. Secondo l’agenzia Irna, il 14 febbraio i genitori delle alunne si sono riuniti davanti al governatorato della città per “chiedere spiegazioni”, mentre il viceministro della Saluta Youness Panahi ha rivelato che “è emerso che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse”. L’avvelenamento, ha poi spiegato, è stato causato da “composti chimici disponibili non per uso militare, e non è né contagioso né trasmissibile”. Da parte loro, i ministeri dell’Intelligence e dell’Istruzione si sono limitati a dire che stanno collaborando per trovare la fonte dell’avvelenamento. Al momento, scrive France Press, non sono stati annunciati arresti.