Si tratta di un Paese molto povero, formato soprattutto da villaggi costituiti da capanne di legno e capanne in mattoni (meno usati perché richiedono molto lavoro). Il sacerdote ci ha spiegato la geografia dell’Uganda, che è tagliato dall’Equatore ed ha giorni e notti praticamente sempre della stessa durata, senza distinzioni di stagioni, con il Sole che passa per lo zenith e a volte si trova a sud e a volte a nord. Abbiamo visto le foto dei laghi Albert e Victoria, che è il più grande. Le popolazioni che vivono intorno alle loro rive sono fortunate in quanto dispongono di acqua pulita, per bere, per lavarsi e per cucinare. Ci ha anche presentato la bandiera ugandese che è formata da bande di colore nero, rosso e giallo, con al centro il disegno di una gru coronata (un bell’animale tipico di queste zone). È una terra ricca di tante specie animali: abbiamo visto le foto di leoni, gorilla, tanti uccelli diversi. L’economia ugandese è però molto povera, si coltivano soprattutto mais, banane, arachidi, fagioli, caffè, canna da zucchero e cavoli. Il cibo è poco e spesso si mangia solo una volta al giorno. La gente si sveglia al mattino alle 5:00 per andare a lavorare nei campi e per andare a prendere l’acqua. Soltanto pochi ragazzi e bambini possono permettersi di andare a scuola in quanto queste sono a pagamento; per questo motivo i bambini non vanno a scuola e devono aiutare i genitori in diversi modi. I contadini lavorano la terra con le proprie mani o con l’uso di attrezzi agricoli semplici come le zappe, infatti non esistono macchine agricole. In questo Paese non ci sono baby-sitter, quindi, mentre i genitori lavorano, sono i fratelli maggiori a occuparsi dei fratelli più piccoli. In molti casi le mamme che lavorano la terra portano con loro i bambini tenendoli legati al loro corpo attraverso una grande sciarpa-marsupio legata sulla schiena. Abbiamo visto foto di bambini che la mattina camminano per chilometri e chilometri per andare a prendere un po’ di acqua nelle pozze, un’acqua spesso sporca, mescolata al fango, che loro fanno bollire e poi utilizzano per lavarsi e per cucinare; altri bambini lavorano come pastori e si occupano anche di raccogliere la legna, che poi si mettono in testa per portarla al villaggio. Verso i 14-15 anni i ragazzi si separano dalle proprie famiglie e si costruiscono una capanna per andare a vivere da soli. Solo in alcuni villaggi è possibile trovare delle scuole: le poche presenti, a pagamento, sono fatte di legno, senza sedie o banchi, spesso pochi sgabelli o panche occupate dagli alunni che arrivano presto, tutti gli altri trovano posto seduti per terra. Gli ospedali sono presenti soltanto in città e quello più vicino al villaggio di Padre Ronald è quello di Kampala. Molti malati si “curano” nei propri villaggi con delle erbe con risultati non sempre favorevoli. Ci ha interessato conoscere la storia di Padre Ronald. Ci ha raccontato che viene da una famiglia povera costituita da 12 persone (lui ha 10 fratelli). Ha deciso di diventare sacerdote da bambino, a 10 anni. Quando parlò della sua vocazione con un prete che lo conosceva bene, questi gli disse che se la sua famiglia non poteva pagarli gli studi, lui lo avrebbe aiutato, ma avrebbe dovuto studiare molto! Diventato sacerdote a 31 anni e arrivato in Italia, a Roma, facendo una prima passeggiata in centro, si mise a piangere davanti alle fontane, davanti a quell’abbondanza d’acqua! Noi, che siamo abituati, non proviamo niente di fronte a una fontana, ma chi rischia di morire per la mancanza di acqua che occorre andare a prendere, sporca, a chilometri di distanza, davanti allo spreco che noi facciamo, davanti al nostro ben di Dio non può che piangere. E pensare che noi ci lamentiamo dell’acqua della nostra scuole e sprechiamo soldi per comprare delle bottigliette che contengono acqua identica a quella dei nostri rubinetti. Invece in Uganda non puoi capire da dove la prendano, fanno molti chilometri a piedi per rimediarne qualche litro che, per noi, è quella che nemmeno gli animali bevono, e tornano con le taniche in testa con acqua che devono far bollire per far in modo che non sia un veleno, ma basti a farli sopravvivere. Poi ci sono le banane, quelle che per noi sono solo una carica di vitamine, mentre per loro sono un alimento fondamentale per nutrirsi. Eh già: loro mangiano solo ed esclusivamente una volta al giorno e quel pasto è sacro! Ma un’altra cosa molto triste, a mio parere, è l’alto tasso di mortalità infantile; che poi ce ne sono di bambini per quanto sono numerose le famiglie. Mi commuovono le condizioni fisiche in cui si trovano: sono pelle e ossa, talvolta con parti del corpo gonfie a causa della denutrizione o malnutrizione. E come se non avessero già abbastanza problemi, lì è diffuso anche l’AIDS, una malattia molto pericolosa che, se non curata, porta alla morte. Tutto questo mi ha fatto riflettere su quanto noi siamo, in realtà, fortunati! Ronald qualche volta ritorna in Uganda per vedere il suo villaggio e la famiglia; ci ha detto che quando ritorna al villaggio sono tante le domande che amici, familiari e conoscenti gli pongono… sulla possibilità di aiuti concreti per il suo Paese. Ed ogni volta lui risponde con un silenzio. Padre Ronald ci ha raccontato che, grazie ad alcune donazioni, in un villaggio ugandese è stato costruito un pozzo dove si può pompare acqua pulita che serve a tutti gli abitanti della zona, per questo anche noi possiamo offrire un piccolo contributo per realizzare altri progetti simili a questo. Ronald ci ha raccontato che il padre prima di morire gli ha detto “Cerca sempre di dare il meglio di te” e “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. Lui così vuole realizzare tanti progetti per aiutare la sua gente, mostrando una grande generosità. Così ci ha invitato a dare sempre il meglio di noi in quello che facciamo, dobbiamo apprezzare ciò che possediamo e soprattutto che dobbiamo credere nei nostri sogni e non abbandonarli mai. Questo incontro ci è piaciuto molto perché padre Ronald ci ha fatto capire l’importanza della vita e ci ha fatto comprendere quanto siamo fortunati rispetto a tanti altri bambini. Egli ha vissuto in prima persona una triste e dolorosa realtà, ma ci colpisce per la sua serenità, la sua allegria e la sua voglia di ascoltare il prossimo. Penso che questo incontro sia stato molto interessante e ci ha fatto riflettere. Grazie a questo momento vissuto a scuola, abbiamo imparato ad apprezzare quello che abbiamo e a non dare tutto per scontato… Questo incontro è stato toccante, per la storia che il nostro ospite ci ha raccontato e per le difficoltà che sappiamo essere presenti in tante parti del mondo. Vedendo le immagini, abbiamo notato che i bambini, anche se vivono in grandi difficoltà, hanno sempre il sorriso; ho pensato che noi che viviamo in un Paese tutto sommato ricco, abbiamo denaro per comprarci giochi, abiti, acqua, cibo e a volte ci lamentiamo perché vogliamo un telefono nuovo e non ci rendiamo conto che in altri luoghi del mondo i bambini e gli adulti desiderano, l’acqua anzi la sognano. Dopo la testimonianza di padre Ronald ci siamo chiesti perché parlano solo di guerre con i fucili e le bombe, quando anche questa è una lotta quotidiana per la vita. Noi vogliamo ringraziarlo perché con il racconto della sua esperienza ci ha aperto gli occhi su tante cose e soprattutto ci ha fatto capire che noi abbiamo veramente tanto e dobbiamo apprezzarlo ed essere contenti e che con l’impegno serio possiamo realizzare i nostri obiettivi”.
Classi IH, 1E e 2E
Alessia Marini 3M
Silvia Nica e Alessandro Silvestri 2M