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mercoledì, Luglio 24, 2024

Draghi: “La globalizzazione è stata utile ma anche vulnerabile”

“L’apertura dei mercati globali ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia”. Lo ha detto Mario Draghi, dopo aver ricevuto il premio Volcker alla carriera a Washington. “In questo nuovo mondo globalizzato, tuttavia, l’impegno di alcuni dei principali partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dal principio”, ha sottolineato l’ex premier italiano precisando che “l’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile alla possibilità che un qualsiasi paese o gruppo di paesi potesse decidere che seguire le regole non era il modo migliore per perseguire i propri interessi a breve termine”. E ancora: “Anche i più duri isolazionisti in Europa devono rendersi conto che ogni Paese in Europa è troppo piccolo da solo”. “L’apertura dei mercati globali ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia. […] In questo nuovo mondo globalizzato, tuttavia, l’impegno di alcuni dei principali partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dal principio. […] L’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile alla possibilità che un qualsiasi paese o gruppo di paesi potesse decidere che seguire le regole non era il modo migliore per perseguire i propri interessi a breve termine”. Contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali – democrazia e libertà non viaggiano necessariamente insieme a beni e servizi – ma li ha anche indeboliti all’interno dei paesi che ne erano stati i principali sostenitori, finendo anzi per alimentare la crescita di forze che guardavano maggiormente alla dimensione interna. Presso l’opinione pubblica occidentale si è diffusa la percezione che i cittadini fossero coinvolti in una partita falsata, in cui milioni di posti di lavoro venivano spostati altrove mentre i governi e le aziende restavano indifferenti. […] Le persone chiedevano una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione e una maggiore attenzione alla sicurezza economica. E, per ottenere questi risultati, si aspettavano un uso più attivo della “pratica di governo” – assertività nelle politiche commerciali, protezionismo o redistribuzione che fosse. Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza. In primo luogo, la pandemia ha messo in evidenza i rischi che derivano da catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come i medicinali e i semiconduttori. Questa consapevolezza si è tradotta, in molte economie occidentali, in una spinta al re-shoring delle industrie strategiche […]. La guerra di aggressione in Ucraina ci ha poi indotto a ripensare non solo a dove acquistiamo beni, ma anche da chi. Ha evidenziato i pericoli di una dipendenza eccessiva, per input essenziali, da partner commerciali grandi e non affidabili che minacciano i nostri valori. Nel frattempo, è aumentata anche l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico. Questa fase di profondo cambiamento nell’ordine economico globale porta con sé sfide altrettanto profonde per la politica economica. In primo luogo, cambierà la natura degli shock ai quali sono esposte le nostre economie. Negli ultimi trent’anni, i principali fattori di discontinuità nella crescita sono stati rappresentati da shock di domanda, spesso sotto forma di cicli di credito. […] È probabile che, nella fase di adattamento delle nostre economie a questo nuovo contesto, si presentino shock di offerta negativi più frequenti, più irregolari e anche più ampi. […] Probabilmente questi shock di offerta emergeranno non solo da nuove frizioni nell’economia globale – ad esempio conflitti geopolitici o disastri naturali – ma ancor più dalle risposte di policy che noi stessi metteremo in atto per mitigare quelle frizioni. l secondo cambiamento chiave nel panorama macroeconomico è rappresentato dal fatto che la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo più significativo, il che significa – a quanto posso aspettarmi – deficit pubblici persistentemente più alti. La politica fiscale sarà chiamata a incrementare gli investimenti pubblici per soddisfare la gamma di nuove esigenze di investimento. I governi dovranno affrontare le disuguaglianze in materia di ricchezza e reddito. E, in un mondo di shock di offerta, è probabile che la politica fiscale si trovi a dover svolgere anche un maggior ruolo di stabilizzazione – un ruolo che in precedenza avevamo attribuito principalmente alla politica monetaria. Per stabilizzare il potenziale di crescita e ridurre la volatilità dell’inflazione, avremo bisogno di un cambiamento nella strategia di policy complessiva, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso sul lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, campo in cui un’ampia adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe essere d’aiuto. Ma per fare tutto questo a una certa velocità sarà necessario un policy mix adeguato: un costo del capitale sufficientemente basso per anticipare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che supporti la ricollocazione di capitale e l’innovazione, politiche della concorrenza che facilitino gli aiuti di Stato laddove siano giustificati.

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