L’età media di accesso alla pensione in Italia, grazie alla possibilità di uscire in anticipo rispetto all’età di vecchiaia, è di 64,2 anni e questo, insieme alla generosità dei trattamenti rispetto all’ultima retribuzione, rischia di creare squilibri per il sistema previdenziale. E’ uno dei dati allarmanti che emerge dal Rapporto annuale dell’Inps. “Le previsioni Eurostat per l’Ue relative agli andamenti demografici – si legge – fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi crescenti di squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei paesi, come l’Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata”. Preoccupa anche il crollo del potere d’acquisto dei rilavorato, e non solo. Nel 2021, l’ultimo anno per cui vi sono dati confrontabili, la spesa previdenziale italiana si è attestata al 16,3% del prodotto interno lordo (PIL), un livello inferiore solo a quello della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%. “La spesa pensionistica italiana – prosegue il Rapporto – è particolarmente elevata per due motivi principali. Innanzitutto, l’età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro, nonostante un’età legale a 67 anni, tra le più alte in Europa. Oltre a questo, le pensioni sono, in media, generose e infatti il tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultima retribuzione percepita prima del pensionamento è tra i più elevati in Ue, al 58,9%, quasi 14 punti percentuali sopra la media europea (45%)”. L’Inps chiarisce che l’età media effettiva di pensionamento nel 2023 è di 64,6 anni se si considerano solo i pensionati Inps e non si considerano i casi di accompagnamento al pensionamento come l’Ape sociale e gli esodi. L’età media di pensionamento è cresciuta di oltre due anni dai 62,1 anni del 2012, anno di entrata in vigore della riforma Fornero. L’Inps segnala che dal 2019 al 2021 i pensionamenti anticipati rispetto all’età di vecchiaia sono stati circa 500mila l’anno per poi scendere nel 2022 sotto quota 400mila e fissarsi a 300mila nel 2023. Tra il 2019 e il 2021 ha avuto una parte significativa Quota 100 ma la parte principale in tutti e cinque gli anni l’ha avuta l’uscita con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne) possibile indipendentemente dall’età anagrafica. Comunque, tranquillizza il presidente dell’istituto, Gabriele Fava, nel breve-medio periodo “la tenuta dei conti è assolutamente in equilibrio”. “Stiamo lavorando in piena sintonia con il governo, siamo totalmente allineati con il governo e i ministeri competenti. Sono molto fiducioso – aggiunge – Sono interventi non velocissimi, non facili, complessi. Serviranno per migliorare ancora di più le situazioni che affrontiamo”.
Perdita del potere d’acquisto – Aumentano i redditi ma non abbastanza da compensare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione. È quanto si legge ancora nel rapporto annuale. La variazione della retribuzione media giornaliera complessiva rispetto al 2019 – calcola l’Inps – è pari al +6,6%, “allineata per costruzione a quella annuale per i dipendenti full year (sempre 6,6% per i full time e 6,8% per i part time); per quanto riguarda i dipendenti part year, sia full time che part time, leggermente maggiore (rispettivamente +6,9% e +7,3%) della media giornaliera generale (+6,6%) ma inferiore alla dinamica annuale per i medesimi gruppi, per effetto evidentemente di cambiamenti positivi nella composizione di questi gruppi di lavoratori per continuità e intensità (aumentate)”. Al netto di tutti i possibili distinguo il dato essenziale “è quello di un incremento della retribuzione media tra il 2019 e il 2023” pari al 6,8%. Tuttavia, questo incremento dei redditi e delle retribuzioni non è stato “tale da compensare pienamente la perdita di potere d’acquisto conseguente alla recrudescenza del fenomeno inflattivo verificatasi negli ultimi anni”, spiega l’Inps.
La pensione media uomini superiore 35% a quella donne – Al 31 dicembre 2023 i pensionati erano circa 16,2 milioni, di cui 7,8 milioni di maschi e 8,4 milioni di femmine per un importo lordo complessivo delle pensioni erogate di 347 miliardi di euro. Emerge, inoltre, che il reddito medio da pensione per gli uomini è superiore del 35% di quello delle donne. “Sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), si legge, le donne percepivano il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 153 miliardi di euro contro i 194 miliardi dei maschi. L’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini era superiore a quello delle donne di circa il 35%. Per gli uomini il reddito da pensione è in media di 2.056,91 euro mentre per le donne è di1.524,35 euro. Le retribuzioni femminili ritornano al livello a cui si assestavano prima della maternità solo dopo 5 anni dalla nascita del figlio. Con la nascita di un figlio sale la probabilità di uscita dal lavoro per la donna e si riduce perl’uomo. Lo scrive l’Inps nel suo Rapporto annuale spiegando che prima della nascita di un figlio la probabilità di uscita dal lavoro è simile per uomini e donne con l’8,5%-9% per i primi e il 10,5%-11%% per le seconde mentre nell’anno di nascita la percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. A sette anni dalla nascita del figlio la probabilità di uscita dal lavoro è del 5% per gli uomini e del 10% per le donne. La nascita persa anche sui redditi con le donne che perdono il 16% dei redditi se hanno il congedo di maternità e il 76% dei redditi se non possono contare su questo ammortizzatore. La nascita di un figlio non incide negativamente sui reddito degli uomini che anzi a 7 anni dalla nascita di un figlio contano in media su un incremento del reddito di circa il 50%.
Aumentano i lavoratori – Nel 2023 i lavoratori iscritti all’Inps con almeno una settimana di contributi sono stati 26,6 milioni, oltre 1,08 milioni in più del 2019. L’Inps che segnala come la differenza rispetto all’Istat dipenda dal fatto che l’Istituto di statistica faccia un’indagine campionaria mentre l’Inps dà un dato di flusso annuo. Le settimane lavorate in media nel 2023 per ogni assicurato sono state 43,1 a fronte delle 42,9 medie del 2019. Hanno trainato l’aumento i dipendenti privati a tempo indeterminato mentre si sono ridotti gli autonomi. Si registrano 540mila lavoratori in più nati in Paesi extra Ue.