Duemila anni fa una nave oneraria da trasporto vinario lunga sui 25 di metri (lunghezza rilevata in base alla relativa chiglia ed alle sue ordinate rinvenute sul fondale) naufragò a poco meno di un miglio marino (1852 metri) nel mare antistante l’attuale Torre Flavia (edificata nel 1568 p. C. n.). Sempre dai rilievi effettuati dagli archeologi navali la tipologia della suddetta imbarcazione risultò essere quella di un naviglio in auge in pieno periodo augusteo, naviglio poi caduto in un rapido disuso a favore di navi più manovriere, veloci e soprattutto più capienti intorno alla metà del primo secolo dopo Cristo. Su questo antico naufragio e su quanto restituitoci dal mare dopo ben 20 secoli vi sono delle certezze vediamo quali: La nave, a fondo semipiatto (in modo di poter entrare agevolmente anche nei fiumi), navigava a vela ed a remi, stazzava, a pieno carico, sulle cinquanta tonnellate e recava a bordo una decina di grandi dolia dalle differenti capienze oltre vari anfore stipate con della paglia a poppa ed a prua come era anticamente in uso. I dolia ritrovati integri furono quattro di forma quasi sferica ed uno di forma cilindrica. Quelli sferici rinvenuti sani potevano contenere fino a duemilacinquecento litri di vino mentre quelli cilindrici solo mille. Il recupero fu effettuato su di un fondale di 12 metri, prevalentemente di sabbia, nell’arco di due anni dal 1983 al 1985 dalla Soprintendenza dell’Etruria Meridionale insieme all’Istituto di Topografia Antica dell’Università “la Sapienza” di Roma, il tutto sotto la supervisione di due noti archeologi: Valeria D’Atri e Piero Alfredo Gianfrotta; l’area interessata ai rilievi prima, ed ai recuperi poi, fu di quasi 400 metri quadrati. Insieme ai suddetti dolia furono portati all’asciutto anche altri oggetti fra cui del vasellame vario in coccio ed, in particolare, dei piatti (di buona ceramica aretina) sotto i quali i singoli marinai avevano inciso le iniziali dei loro nomi (ancora leggibili) di cui uno con su scritto medeor (medico) da ricollegare anche con un altro ritrovamento, quello di una cassettina lignea con dentro dei sacchetti contenenti semi di coriandolo e di cumino di probabile uso medicinale. Insieme ai piatti, a della tegameria da fuoco ed alla suddetta cassetta (di un medico o, come più probabile, in uso a qualcuno a bordo che si occupava di una sorta di pronto soccorso), furono rinvenuti anche alcuni tondelli della pompa di sentina, varie lucerne, lo scandaglio e pezzi delle lastre di piombo che erano inserite appositamente nel fasciame della chiglia per appesantirla. Fra i rinvenimenti si segnala anche un notevole (per la sua fattura) braccetto a forma di becco d’anatra sicuramente parte integrante della testiera del letto, che, considerandone l’importanza, doveva essere del gubernator (il comandante). Altre certezze assolute vengono dai bolli impressi vicino al collo dei dolia (con tanto di coperchio esposto); bolli di Caius Piranus Sotericus liberto della famiglia dei Pirani che risiedevano a Minturnae. Porto di Minturno dove all’epoca si svolgeva anche una buona attività di cantieraggio marittimo e che era uno degli attracchi molto deputati al trasporto vinario considerandone il vastissimo entroterra in cui vi erano vigneti a non finire( si può immaginare che, anche all’epoca, il Falerno, da quelle parti la facesse da padrone). Tutto ciò attualmente è visibile (dal 2011, dopo ventisei anni di giacenza presso i magazzini della necropoli della Banditaccia) presso il Museo del Mare e della Navigazione Antica sito nello splendido castello di Santa Severa ( Museo ideato e diretto dal noto archeologo Flavio Enei che è anche il direttore scientifico di tutto il polo museale del castello da quando il bel maniero è stato, dalla Regione Lazio che ne è la proprietaria, riaperto al pubblico), visto che la Soprintendenza Archeologica giudicò ( a ragione) che tale Museo era quello giusto per ospitare cotanto materiale recuperato in mare. Museo del Mare e della Navigazione Antica ove appunto l’ottimo direttore Flavio Enei, apprestò, all’uopo, una gran bella sala che comprende oltre due doli – uno sferico con bollo ed uno cilindrico – (altri tre sferici coperti da tettoia sono all’esterno nel Cortile delle Barozze con di fronte tanto di pannello esplicativo), le foto del ripescaggio con allegate immagini della tipologia della nave e delle anfore, una vetrina con gli oggetti ritrovati, una serie di ancore antiche (il tutto ben didascalizzato) ed inoltre una notevolissima e dettagliata ricostruzione di una stiva d’epoca, con tutti i suoi annessi e connessi, ivi compreso un acconciato marinaio che, lucerna in mano, ne ispeziona il fasciame di chiglia; a tutto ciò si aggiunge che può essere attivato un meccanismo sonoro il quale sottolinea il crescere di una tempesta (rumore del mare, uccelli marini, ordini concitati dati in latino arcaico, etc.). Accanto vi è anche una bella vetrina policroma ove si vede una nave antica in difficoltà, nonostante le ancore gettate, in mezzo ai frangenti e che rischia di finire sugli scogli. Nelle ipotesi invece si annoverano i motivi del naufragio e di tutto il resto (la nave, ovviamente, non fece in tempo a ripararsi né nel porto di Alsium né in quello di Pyrgi, entrambi all’epoca in piena attività ): I marosi presero il sopravvento ed il carico si spostò causando il naufragio, o cosa d’altro avvenne, magari pirateria? La nave viaggiava in convoglio e faceva solo singolo cabotaggio costiero o invece lunghi viaggi fino alle Gallie o in Hispania? Stava andando o tornando dalle sue mete e l’equipaggio si salvò? Risposte che non avremo mai e chissà, poi, l’armatore come assorbì economicamente tale importante perdita. Dimenticavamo di dire che in genere i grandi dolia recavano del vino più “da strada”, mentre nelle anfore veniva trasportato quello migliore destinato alle classi più abbienti e, soprattutto, ai legionari.
di Arnaldo Gioacchini *
*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale