Un locale e la sua ragazza, Patty Pravo, e il mondo che cambia. Così fu con il Piper Club, inaugurato il 17 febbraio del ’65 a Roma. Un nuovo modo di divertirsi, ascoltare, ballare, vestirsi. Corpi, desideri, sessualità. Una rivoluzione nel fare esperienza. Fu una rottura danzata con la storia nazionale, con l’Italia del dopoguerra e del primo boom economico, anche con la dolce vita. La cultura giovanile si presentava come un fatto nuovo, globale.
“Dobbiamo stare insieme, parlare tra di noi. Scoprire insieme il mondo che ci ospiterà, cantava in “Ragazzo triste” Patty Pravo. Il modello era quello della Swinging London: la musica beat, le minigonne, la libertà femminile. Essere semplicemente se stesse era di per sé una trasgressione, una forma di rivolta esistenziale. Il Piper fu un’intuizione di tre giovani romani, Giancarlo Bornigia, Alberico Crocetta e Pucci Tornielli. Era – ed è ancora – in via Tagliamento, in un quartiere borghese della Capitale. Dal ballo della mattonella si passò velocemente alla musica “yè yè” e alla psichedelia.
Era l’Italia che stava cambiando, tra aspri conflitti e nuove abitudini. La gita domenicale, in motoretta, si trasforma nel viaggio on the road, dreamin’ California, i capelloni, la cultura underground che prelude al ’68. Non è solo ballo e svago, l’esperienza creativa è una pratica trasformativa di sé, disponibile a tutti. Qui arrivano ragazzi e ragazze da tutta la città, e scrittori, intellettuali, artisti. Lo spazio è fatto di luci stroboscopiche e suoni, sulle pareti le opere di Andy Warhol e Robert Rauschenberg. Sul palco i primi gruppi rock italiani e stranieri si alternano con una figura nuova, i dj. Come a Londra, New York, San Francisco.
Nel 1967 il Piper ospita il grande happening con il gruppo musicale dell’artista Mario Schifano. Psichedelia, sperimentazione, acid rock, improvvisazione. Si aprono le porte della percezione. Con gli anni Settanta il Piper si apre a nuove musiche e diventa una discoteca. Ancora una rivoluzione dei corpi. La black music, l’energia del piacere fisico, la sfida alle identità sessuali. Il locale oggi è cambiato, il mondo è cambiato. Ma il Piper non ha perso memoria di sé. Renato Zero, figlio anche lui del Piper, lo ha celebrato così: “E si viveva cantando Bob Dylan. Ci si raccontava gli umori e la vita che cambiava”.
La rivoluzione del Piper, un nuovo modo di fare esperienza
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