di Alessandro Ceccarelli
“Ad un certo punto della mia vita ho fatto dei calcoli precisi: che se io esco di casa per trovare la compagnia di una persona intelligente, di una persona onesta, mi trovo ad affrontare, in media, il rischio di incontrare dodici ladri e sette imbecilli che stanno lì, pronti a comunicarmi le loro opinioni sull’umanità, sul governo, sull’amministrazione municipale, su Moravia”
Scrittore, saggista, giornalista, politico, poeta, sceneggiatore, drammaturgo e insegnante. Questa in estrema sintesi è la poliedricità di uno degli intellettuali italiani più importanti del XX secolo: Leonardo Sciascia. Il suo rigoroso impegno civile nella lotta alla mafia è profondamente legato al rapporto di odio-amore per la sua terra. I suoi libri, i suoi articoli, il suo impegno politico e le sue polemiche hanno lasciato il segno nella società italiana.
Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, un piccolo paese in provincia di Agrigento, l’8 gennaio del 1921. Il padre è un impiegato presso le miniere di zolfo, la madre è casalinga. Nel 1935 la sua famiglia si trasferisce a Caltanissetta. Il giovane Leonardo frequenta l’istituto magistrale “IX Maggio”, dove insegna Vitalino Brancati. Quest’ultimo sarà decisivo nella formazione culturale di Sciascia. Dopo il diploma lavora presso il “Consorzio Agrario” dove inizia il suo intenso e profondo rapporto con la realtà contadina locale. Nel 1948 lavora come maestro elementare nel suo paese.
Nel 1950 pubblica “Favole della dittatura”, la sua prima racconta di poesie che è notata e recensita da Pier Paolo Pasolini. Nel 1952 è la volta di “La Sicilia”, secondo componimento poetico. Nel 1953 con il saggio “Pirandello e il pirandellismo”, Leonardo Sciascia vince il Premio Pirandello. L’anno seguente anche Italo Calvino si accorge del talento del giovane scrittore: “I suoi scritti sono impressionanti”. Nel 1956 pubblica “Le parrocchie di Regalpetra”, sintesi della sua esperienza come maestro elementare a Racalmuto.
Il racconto “L’antimonio” (1960), riceve critiche molto positive da Pier Paolo Pasolini e l’anno seguente, Leonardo Sciascia pubblica il suo libro più famoso: “Il giorno della civetta”. Nel 1968 il regista Damiano Damiani porterà con grande successo il racconto di Sciascia sul grande schermo. Con questo romanzo inizia l’impegno civile ed etico di Sciascia contro il complesso fenomeno della mafia. Per capire i riti, i simboli e il linguaggio di cosa nostra, Leonardo Sciascia intensifica il suo studio a 360 gradi sulla Sicilia e sul significato dell’essere siciliano. Anche il teatro porta sul palcoscenico “Il giorno della civetta” nel 1964 per la regia di Giancarlo Sbragia. L’anno seguente Sciascia pubblica “L’onorevole”, una cruda e impietosa commedia di denuncia sulle connivenze tra politica e mafia. “A ciascuno il suo” (1966) riscuote un grande successo di pubblico e critica. Sciascia mescola abilmente l’indagine antropologica della sua terra con gli elementi tipici del “giallo” già presenti in “Il giorno della civetta”.
Il cinema ancora una volta insegue le sue opere. Nel 1967 il regista Elio Petri ne fece un eccellente film con Gian Maria Volontè. Leonardo Sciascia si trasferisce a Palermo e nel 1969 inizia la sua collaborazione con “Il Corriere della sera”. Nel 1970 Sciascia pubblica la raccolta di saggi “La corda pazza”, nella quale l’autore chiarisce la propria idea di “sicilitudine” e dimostra una rara sensibilità artistica espressa per mezzo di sottili capacità saggistiche. Quest’opera riporta, già dal titolo, a Luigi Pirandello, che nel suo libro “Berretto a sonagli” sostiene che ognuno di noi ha in testa “come tre corde d’orologio, quella “seria”, quella “civile”, quella “pazza”. Lo scrittore di Racalmuto vuole indagare sulla “corda pazza” che, a suo parere, coglie le contraddizioni e le ambiguità ma anche la forza di quella Sicilia che è tanto oggetto dei suoi studi. Sciascia “alza il tiro” della polemica politica con “Il contesto” (1971) in cui emerge tutto il suo pessimismo per la situazione italiana dell’epoca. Con “Todo modo” (1974) lo scrittore compie un duro e lucido attacco ai legami tra la politica e la chiesa cattolica.
E’ un chiaro atto di accusa al trentennale potere democristiano che scatena feroci polemiche politiche. Il regista Elio Petri nel 1976 dirigerà un cupo film sul libro dello scrittore che sembra anticipare la tragica fine di Aldo Moro. Leonardo Sciascia a questo punto della sua vita (sconsigliato da molti amici scrittori come Andrea Camilleri) entra in politica. Il suo nobile intento è quello di voler capire meglio il sistema per tentare di cambiare il Paese. Nel 1975 lo scrittore si candida come indipendente nelle liste del Partito Comunista a Palermo. La sua esperienza nel Pci sarà deludente. Nel 1977 Sciascia lascia il partito perché fortemente contrario al compromesso storico con la Dc, voluto dal segretario Enrico Berlinguer. Nel 1979 lo scrittore accetta la proposta di Marco Pannella per la sua candidatura al Parlamento europeo. Si occupa in maniera febbrile dei lavori della Commissione d’inchiesta sul sequestro di Aldo Moro sino al 1983.
In questi anni caratterizzati dal suo grande impegno per la politica, Sciascia non trascura la letteratura. Spicca su tutti il pamphlet “L’affaire Moro” che scatenò durissime polemiche nel mondo politico. Nel 1987 pubblica lo straordinario “Porte aperte”, e “Una storia semplice” (1988). La sua ultima polemica fu ovviamente sulla mafia fu epocale.
Sul Corriere della sera del 10 gennaio 1987, Sciascia pubblicò l’articolo “I professionisti dell’antimafia”, nel quale criticava fortemente il comportamento di alcuni magistrati palermitani del pool antimafia, i quali a suo parere si erano macchiati di carrierismo, usando la battaglia per la rinascita morale della Sicilia come titolo di merito all’interno del sistema delle promozioni in magistratura. In particolare, nel bersaglio dello scrittore finì il giudice Paolo Borsellino perché vincitore del concorso per l’assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica di Marsala, non per ragioni di anzianità di servizio, ma per specifiche e particolarissime competenze professionali nel settore della malavita organizzata, maturate sul campo, che gli venivano riconosciute dal Csm e gli valsero il superamento in graduatoria di altri magistrati. Dopo la pubblicazione dell’articolo Sciascia fu bersagliato dagli attacchi di molte personalità della cultura e della politica e venne isolato dalle maggiori forze politiche, eccezion fatta per i radicali e socialisti. L’associazione Coordinamento Antimafia, che dallo scrittore fu definita «una frangia fanatica e stupida», lo tacciò d’essere un quaquaraquà “ai margini della società civile” e Marcelle Padovani, accusò Sciascia di avanzare “misere polemiche” a causa del suo “incoercibile esibizionismo”.
Leonardo Sciascia muore a Palermo il 20 novembre del 1989. Per suo volere è stato sepolto nel suo amato-odiato paese natale, Racalmuto.
“Ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”.