venerdì, Novembre 22, 2024

Epilessia: nuove scoperte dai neuroni

di Francesco Rossi

Un difetto di comunicazione tra due recettori presenti nei neuroni è stato osservato nel cervello di pazienti affetti da epilessia del lobo temporale, la più comune forma di epilessia focale adulta.
È il risultato di una ricerca condotta dal Laboratorio di Epilessia Sperimentale dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Is) in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma. Pubblicato sulla rivista scientifica Epilepsia, lo studio, condotto su tessuti umani e su modelli animali, si è concentrato sull’azione dell’acido ?-aminobutirrico (GABA), appartenente alla categoria dei neurotrasmettitori, molecole che, raggiungendo specifici recettori sulla membrana cellulare, garantiscono la comunicazione tra i neuroni. Il GABA, in particolare, è il principale neurotrasmettitore inibitorio.

In altri termini la sua azione è di limitare l’attività elettrica dei neuroni, contrapponendosi all’effetto, opposto, dei neurotrasmettitori eccitatori. "L’epilessia è caratterizzata – dice la dottoressa Katiuscia Martinello – da uno squilibrio tra eccitazione e inibizione. L’obiettivo delle attuali terapie farmacologiche è di potenziare quest’ultima. L’analisi dell’azione del GABA è quindi particolarmente importante per capire meglio la malattia e per sviluppare nuove terapie. Per questo motivo nella nostra ricerca abbiamo studiato due particolari recettori di questa molecola: il tipo B e il tipo A. I nostri dati dimostrano che, nel tessuto nervoso non epilettico, i due recettori comunicano tra loro in modo da rispondere in maniera efficace e coordinata al rilascio di GABA dalle cellule inibitorie".
Un coordinamento che però viene perso in quelle parti di tessuto nervoso che danno origine alle scariche epilettiche, detto focus epilettico. "Nei neuroni dei tessuti epilettici – prosegue Martinello – abbiamo individuato la totale mancanza di questo cross-talk (comunicazione reciproca tra recettori A e B, ndr). Questo deficit contribuisce ad una diminuzione dell’inibizione, e di conseguenza a una maggiore eccitabilità delle cellule nervose, facilitando l’insorgenza e il rafforzamento delle crisi epilettiche".

"Naturalmente – conclude la ricercatrice – saranno necessari ulteriori studi per approfondire questi meccanismi. L’ipotesi è che potrebbe essere possibile attivare selettivamente uno dei due tipi di recettori in modo da aumentare il segnale inibitorio trasmesso dal GABA. Questa strategia potrebbe rivelarsi molto importante se consideriamo che le terapie attualmente in uso possono spesso indurre resistenza, rendendo inefficace nel tempo l’azione dei farmaci".
In passato, l’epilessia era associata a esperienze religiose e di possessione, anche demoniaca. Nei tempi antichi, l’epilessia era conosciuta come la "malattia sacra" (ἱερὰ νόσος, morbus sacer) (come fu descritta nel V secolo a.C. da Ippocrate di Coo), poiché si pensava che le crisi epilettiche fossero una forma di attacco da parte di demoni, o che le visioni sperimentate dai pazienti fossero dei messaggi degli dei. Tra le famiglie animiste Hmong, ad esempio, l’epilessia è stata intesa come un attacco di uno spirito maligno, ma la persona interessata potrebbe diventare venerata come uno sciamano, grazie a queste esperienze ultraterrene. Un capitolo di un libro di medicina babilonese, Sakikku, risalente al 2000 a.C. circa e composto, vi sono molte descrizioni di condizioni che oggi riconosciamo come crisi epilettiche, tali scritti insistono sulla loro natura soprannaturale, mentre il testo ayurvedico Charaka Samhita (circa 400 a.C.), descrive l’epilessia come "apasmara", vale a dire come "perdita di coscienza".
Nella maggior parte delle culture, le persone con epilessia venivano stigmatizzate, evitate o addirittura imprigionate. Presso Salpêtrière, il luogo di nascita della neurologia moderna, Jean-Martin Charcot trovò l’epilessia comune nei disabili psichici, negli affetti da sifilide cronica e nei psichiatrici criminali. In Tanzania, nel 2012, come in altre parti dell’Africa, l’epilessia viene associata a possessione da parte di spiriti maligni, alla stregoneria o all’avvelenamento. Molti ritengono che possa essere una condizione contagiosa. Nella Roma antica, l’epilessia era conosciuta come il comitialis morbus (ma anche maior morbus e divinus morbus) ed era vista come una maledizione degli dei: qualora una crisi fosse sopravvenuta durante un comizio, ne avrebbe provocato l’interruzione essendo di cattivo auspicio. La malattia era considerata contagiosa e si riteneva che lo sputo fungesse da difesa nei confronti di essa. La stigmatizzazione sociale è perdurata fino all’epoca moderna, sia per quanto riguarda la sfera pubblica sia per quella privata, ma i sondaggi suggeriscono che questo atteggiamento si sta affievolendo nel tempo, soprattutto nel mondo sviluppato. Ippocrate osservò che l’epilessia avrebbe cessato di essere considerata di origine divina solo il giorno in cui fosse stata capita.

Redazione
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