Bortolussi: “Se, come ha avuto modo di denunciare il ministro Lorenzin, nella sanità si annidano circa 30 miliardi di euro di sprechi, è verosimile ritenere che una parte dei ritardi nei pagamenti sia in qualche modo riconducibile a questa distorsione”. La sanità italiana ha accumulato un debito con i propri fornitori di almeno 24,4 miliardi di euro. I dati sono riferiti al 2016 (ultima rilevazione disponibile) e, tengono a precisare dalla CGIA, sono sicuramente sottostimati: infatti, dal conteggio non sono inclusi i mancati pagamenti registrati dalle Asl della Toscana e della Calabria.
“Sebbene negli ultimi anni l’andamento dello stock del debito sanitario risulti in calo – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA – è verosimile ritenere che il dato riferito al 2016 non si dovrebbe discostare moltissimo da quello relativo al 2013. Ovviamente, le politiche messe in atto dagli ultimi Governi attraverso le anticipazioni di liquidità sono proseguite anche l’anno scorso. Tuttavia, tenendo conto del fatto che nel corso del 2017 dovrebbe essersi accumulata una nuova quota di debito sanitario e aggiungendo i mancati pagamenti della Toscana e della Calabria, il debito complessivo non dovrebbe allontanarsi di molto dal risultato emerso nella rilevazione del 2016”. Quali sono le ragioni che hanno determinato l’accumulazione di un debito così imponente? A tentare una spiegazione ci ha provato il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi: “Se da un lato le Asl pagano con molto ritardo, è anche ormai noto che in molti casi le forniture vengono acquistate ad importi superiori ai prezzi di mercato e con forti differenze a livello regionale. Se, come ha avuto modo di denunciare nel novembre scorso il ministro Beatrice Lorenzin, nella sanità si annidano circa 30 miliardi di euro di sprechi, è verosimile ritenere che una parte dei ritardi nei pagamenti sia in qualche modo riconducibile alle distorsioni sopra descritte. In altre parole, non è da escludere che tra le parti avvengano degli accordi non scritti per cui le Asl o le case di cura impongano ai propri fornitori pagamenti con ritardi pesantissimi, ma a prezzi superiori rispetto a quelli, ad esempio, praticati nel settore privato”.
Nonostante l’ammontare degli sprechi denunciato dal ministro Lorenzin, l’Ufficio studi della CGIA tiene comunque a puntualizzare che la nostra spesa sanitaria pubblica è inferiore di oltre 1,5 punti percentuali di Pil rispetto a quella francese o tedesca. Inoltre, la qualità del servizio reso ai cittadini italiani, soprattutto in molte aree del Centro Nord, non ha eguali nel resto d’Europa. Tornando ai dati della ricerca, la sanità regionale più indebitata è quella del Lazio, con 5,9 miliardi di euro. Seguono Campania, con 3,8 miliardi di euro, Lombardia e Piemonte, entrambe con 2,2 miliardi e il Veneto, con 2 miliardi di euro ancora da onorare. Se, invece, rapportiamo il debito alla popolazione residente, il primato spetta al Molise, con 1.416 euro pro capite. Seguono il Lazio, con 1.017 euro pro capite, la Campania con 660 euro pro capite e il Piemonte, con 510 euro per ogni residente.
Per quanto concerne i tempi medi di pagamento praticati nel 2016 e riferiti alle sole forniture di dispositivi medici (Fonte: Assobiomedica), in Calabria il saldo della fattura è avvenuto mediamente dopo 794 giorni (praticamente dopo 2 anni e 2 mesi), in Molise dopo 790 giorni e in Campania dopo 350 giorni. Se teniamo conto che la legge in vigore stabilisce che i pagamenti delle strutture sanitarie debbano avvenire entro 60 giorni dall’emissione della fattura, nessun valore medio regionale rispetta questo termine. Anche per queste ragioni, l’Ufficio studi della CGIA ricorda che il 18 giugno 2014 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia, ritenendoci responsabili di aver violato la Direttiva europea sui ritardi dei pagamenti entrata in vigore nel marzo del 2013. Ad oggi, la procedura è ancora in atto.
Probabilmente, un contributo importante alla riduzione dei tempi di pagamento potrebbe avvenire con l’introduzione della fattura elettronica. La legge, infatti, ha stabilito che dal prossimo 31 marzo tutta la Pubblica Amministrazione (PA) non potrà più accettare fatture emesse o trasmesse in forma cartacea. Inoltre, a partire dal 30 giugno di quest’anno, le PA non potranno procedere al pagamento, neppure parziale, fino all’invio del documento in forma elettronica.