Sono crollati gli apprendisti presenti nel nostro mercato del lavoro. Tra il 1970 e il 2017 sono diminuiti del 43 per cento. Se in pieno boom economico superavano le 721.000 unità, l’anno scorso sono scesi a quasi 410.000 occupati. In questi ultimi 45 anni, segnala l’Ufficio studi della CGIA, il trend è stato altalenante e, in linea generale, condizionato dalle crisi economiche (quelle sopraggiunte verso la metà degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 e ’90 e quella iniziata nel 2008) e dalle novità legislative (in particolare la riforma Treu del 1997 – che ha elevato l’età per utilizzare questa tipologia contrattuale estendendola anche ad altri settori produttivi – e il bonus assunzioni introdotto da Renzi). Tuttavia, l’andamento sul lungo periodo evidenzia il deciso calo di questa tipologia contrattuale.
Altrettanto pesante è stata la contrazione del numero degli apprendisti occupati nel settore dell’artigianato che, a partire dalla metà degli anni ‘50, ha formato professionalmente intere generazioni di giovani operai; molti di questi, è importante ricordare, sono diventati artigiani o piccoli imprenditori di successo. Dall’inizio della crisi (2009) al 2017, ad esempio, gli apprendisti occupati nelle aziende artigiane sono diminuiti del 45 per cento. La ripartizione geografica più colpita da questa moria è stata il Mezzogiorno (-61 per cento), seguono il Centro (-44 per cento), il Nordovest (-43 per cento) e il Nordest (-33 per cento). Nell’ultima crisi che ha colpito il Paese, il calo, seppur più contenuto, ha riguardato tutti i settori. Sempre tra il 2009 e il 2017, infatti, la contrazione media a livello nazionale è stata del 31 per cento.
Il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, afferma: “Al di là della necessità di rilanciare la crescita e conseguentemente anche l’occupazione, è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano. E’ vero che attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, il nuovo Testo unico sull’apprendistato del 2011 e le novità introdotte con il Jobs act, sono stati realizzati dei passi importanti verso la giusta direzione. Ma, purtroppo, tutto ciò non basta. L’occupazione in un’azienda artigiana è spesso vissuta dai giovani come un ripiego. E’ necessario, tra le altre cose, ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare e la manualità costituiscono quel valore aggiunto invidiatoci in tutto il mondo che, purtroppo, rischiamo colpevolmente di perdere”. La CGIA ricorda che il contratto di apprendistato è un rapporto di lavoro speciale, in quanto alla prestazione lavorativa si accompagna l’obbligo del datore di lavoro di fornire, al giovane dipendente, la formazione necessaria per l’apprendimento di un mestiere e per il conseguimento della qualifica. Le tre diverse tipologie attualmente in vigore sono:
apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale;
apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere;
apprendistato di alta formazione e di ricerca.
Questo sistema tripartito presenta però un forte squilibrio: il 90 per cento circa degli apprendisti è ancora adesso assunto con un contratto professionalizzante. Oltre alle ragioni sopradescritte, va ricordato che la contrazione del numero degli apprendisti va ricercata anche nella crisi in cui vivono le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione e, in particolare, le aziende artigiane.
“Ricordo – segnala il segretario della CGIA Renato Mason – che nell’ultimo comma dell’articolo 45 della nostra Costituzione si afferma che la legge deve provvedere alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato. In questi ultimi decenni, invece, questo principio spesso è stato disatteso, in particolar modo dalle norme in materia fiscale che hanno aumentato in maniera sconsiderata il carico fiscale e contributivo anche sugli artigiani”. Per quanto concerne i settori produttivi, infine, la riduzione più importante degli apprendisti è avvenuta nelle costruzioni. Tra il 2009 e il 2017 la contrazione in questo settore è stata del 65 per cento. Pesante anche la riduzione registrata nelle attività finanziarie (-54 per cento), nel commercio (-34 per cento) e nei trasporti (-33 per cento).